La scelta di un Papa americano introduce una nuova dinamica tra il potere politico degli Stati Uniti e quello spirituale della Chiesa cattolica. Il commento di Gianfranco Polillo
Donald Trump si è affrettato a celebrare l’elezione del nuovo capo della Chiesa di Roma. Erano passati solo pochi minuti dall’habemus papam, che le agenzie battevano il messaggio del presidente americano: “Congratulazioni al cardinal Robert Francis Prevost, che è stato appena nominato Papa. È un grande onore osservare ch’egli è il primo Papa americano. Che emozione e che grande onore per il nostro Paese. Non vedo l’ora di incontrare Leone XIV. Sarà un magnifico momento”.
Dichiarazioni di circostanza? Difficile dire. Qualche giorno prima c’era stato il brutto episodio della fotografia del presidente americano con i paramenti sacri del Pontefice, pubblicata sul sito della Casa Bianca. Il dito puntato in alto, quasi a sottolineare la continuità con una sua precedente affermazione: “Mi piacerebbe essere Papa, sarebbe la mia prima scelta”. Episodi che avevano suscitato la reazione indignata di gran parte del mondo cattolico e degli stessi vescovi americani giunti a Roma per il dovuto omaggio a papa Francesco, appena scomparso. Critiche alle quali lo stesso Trump aveva risposto in modo ancora più imbarazzante. La foto? “Ai cattolici è piaciuta, Melania (Trump, la moglie, ndr) l’ha trovata carina”.
A rispondergli erano stati, oltre che la Conferenza episcopale americana, l’arcivescovo di New York, Timothy Dolan, che aveva parlato, a Roma, di una “brutta figura”. Voce importante quella del cardinale Dolan: non solo molto vicino al presidente americano, ma, a quanto si dice, anche il king-maker del nuovo Papa. Sarebbe stato lui a canalizzare il necessario consenso intorno alla figura del futuro Leone XIV, partendo da una base costituita dai prelati di tutto il continente americano. Ed ecco allora quale potrebbe essere il senso del tempestivo intervento a favore del nuovo Papa: una sorta di compensazione rispetto alle gaffe precedenti. Riflesso del mancato rispetto di quel detto pucciniano: “Gioca coi fanti e lascia stare i santi”.
Ma al di là di altre vicende che, a quanto sembra, stanno dando la stura, negli States, a un vero e proprio dibattito, che ha investito soprattutto il vicepresidente JD Vance, per le sue prese di posizioni di natura religiose, il problema sarà soprattutto quello di vedere come evolveranno i rapporti tra i due poteri: quello terreno della Casa Bianca e quello spirituale del Vaticano. Per la prima volta, infatti, questo dualismo, che nella storia d’Italia è stata una costante, investirà il più forte Paese della Terra. In un momento, tra l’altro, in cui vecchi nodi stanno venendo al pettine, rendendo sempre più incerto un orizzonte quanto mai problematico.
Ovviamente è troppo presto per fare previsioni. Che, in qualche modo, sono comunque urgenti e necessarie. I cattolici, negli Stati Uniti, rappresentano circa un quarto della popolazione residente. Circa 70 milioni di credenti. La loro è la seconda religione del Paese, dopo il protestantesimo. La Chiesa, tuttavia, è la più grande istituzione ecclesiastica. Con un’influenza che non è solo religiosa, ma direttamente politica. Da un punto di vista culturale, specie in questi ultimi anni, si è assistito ad un ritorno all’indietro. La vecchia cultura del Concilio ecumenico, quello del 1959, è stata in parte archiviata per dar vita ad un risorgente tradizionalismo. Al punto da far sì che ben sei membri della Corte Suprema rispondano oggi, come si è visto sulle nuove leggi contro l’aborto, a quegli antichi precetti.
Sul piano politico la divisione tra repubblicani e democratici è netta. Variabile nel tempo ed estremamente sensibile ai mutamenti congiunturali. Dai tempi di John Fitzgerald Kennedy, primo presidente di fede cattolica, vi sono stati solo due presidenti (John Kerry e Joe Biden) che avevano le stesse caratteristiche. Negli ultimi tempi, invece, la componente repubblicana è risultata prevalente. Si calcola infatti che, nella contrapposizione tra Trump e Hillary Clinton, le maggiori preferenze, con uno scarto di circa 7 punti, siano andate a favore del primo. La stessa dicotomia si ritrova nella stima riposta verso il vescovo di Roma. Sarebbe di gran lunga maggiore (87% contro il 71 secondo alcuni sondaggi) quella riposta dai democratici. Circostanza che potrebbe gettare una nuova luce sui motivi che spinsero alla pubblicazione di quella brutta foto di Trump in abiti talari.
Tutto questo per dire quanto la scelta di un Papa americano possa complicare una situazione già fin troppo intricata. Se in questi ultimi anni, era facile per molti cattolici americani, come in effetti sarebbe avvenuto, prendere le distanze da papa Francesco, mettere la sordina all’insegnamento di Leone XIV sarà ben più difficile. Quindi quel possibile dualismo sarebbe destinato ad aumentare, specie se si considerano i primi accenni del magistero che il nuovo Pontefice sembra intenzionato a seguire.
Come sempre è avvenuto nella storia dei Papi, la scelta del nome con cui consegnarsi alla storia non è stata mai casuale. Papa Prevost, scegliendo il nome di Leone XIV, aveva come riferimenti quello di Leone I (Magno) che ebbe nella storia della Chiesa una grandissima importanza. Spettò a lui ripristinare il primato della Chiesa di Roma, contro le spinte centrifughe che ne avevano minato l’unità. E sempre a lui tocco il compito di impedire ai barbari di trasformare l’avvenuta conquista della città eterna in un luogo di lutti e devastazioni. Operazione che riuscì soprattutto grazie al prestigio della sua figura. All’indomani della sua morte fu venerato come Santo della Chiesa romana e di quella ortodossa.
A noi più vicina è comunque la figura di Leone XIII, il Papa che guidò la Chiesa di Roma alla fine dell’Ottocento. Gravava sulle sue spalle la perdita del potere temporale e l’isolamento che ne era conseguito, a seguito dell’affermarsi del Regno d’Italia. Come ha scritto il Washington Post, “nato durante l’occupazione francese di Roma nel 1820, Leone XIII è ricordato come un pontefice devoto nei confronti del pensiero sociale cattolico e per il suo famoso Rerum Novarum. L’enciclica che segnò, per la Chiesa, la difesa dei diritti dei lavoratori nel capitalismo segnato dall’inizio della rivoluzione industriale”.
Si tratterebbe, in entrambi i casi, di un’eredità particolarmente pesante. Da un lato il riaffermare la necessità di un’autonomia della Chiesa cattolica in un mondo già sconvolto da tragici avvenimenti. Di fronte alla necessità di una “pace disarmata e disarmante”. Dall’altro quella dottrina sociale della Chiesa che, non a caso, è divenuta poi il fondamento dell’“economia sociale di mercato” che rappresenta la cifra dell’unità degli europei. Altro che “parassiti”, secondo la sobria espressione dello stesso Trump. Visioni che configgeranno? Difficile dire. Ma certo è che i tempi delle necessarie mediazioni, all’interno del più grande Paese occidentale, rischiano di divenire più incerti.