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Terzo mandato e Marche. Cosa c’è in ballo per il governo sulle regionali secondo Segatori

Sono sei le regioni nelle quali si voterà nel 2025, molte delle quali rappresentano un terreno di scontro fra i partiti delle due coalizioni. Se su Veneto e Campania centrodestra e centrosinistra sono alle prese con il nodo del terzo mandato, a determinare gli equilibri nazionali saranno le Marche. Colloquio a tutto campo con il politologo dell’Università di Perugia, Roberto Segatori

“Per gli equilibri interni dei partiti, Veneto e Campania saranno determinanti ma il terreno sul quale si giocherà la partita più significativa per gli assetti nazionali sarà quello delle Marche”. Sono sei le regioni italiane che vanno al voto quest’anno, ma ci sono regioni che, per evidenti motivi, hanno un “peso” politico differente. Al Nord, il leader leghista Matteo Salvini sta puntando i piedi per costruire un dopo Zaia che porti comune i vessilli del Carroccio. Nel centrosinistra sono in corso le trattative per capire, dopo la bocciatura del terzo mandato da parte della Corte su De Luca, quali alchimie possano evitare di consegnare il territorio agli avversari. Nelle pieghe di queste dinamiche ad altissima gradazione di scontro, come osserva il politologo dell’Università di Perugia Roberto Segatori sulle colonne di Formiche.net, “emerge come le consultazioni regionali, più di altre, siano la vera cartina al tornasole delle posture dei partiti a livello nazionale. Pur con geometrie spesso variabili”.

Professore, partiamo dal caso Veneto che, da tempo, è oggetto di grande dibattito. Dove porterà l’esito della trattativa?

Lega e Fratelli d’Italia, pur essendo alleati a Roma, su alcuni territori sono invece competitor. A quanto si capisce al momento l’esito della trattativa sembra essersi concluso con una sostanziale parità fra i due: il Veneto resta alla Lega, le Marche ad Acquaroli. Non è, però, un accordo pacifico. E il fatto che tutti i dirigenti leghisti stiano andando a fare campagna elettorale nelle Marche è significativo di un pressing evidente sul premier Giorgia Meloni e su Fratelli d’Italia più in generale.

Perché le Marche sono diventate un terreno così strategico?

Bisognerà capire che sintesi riuscirà a trovare il centrosinistra, con il Movimento 5 Stelle che sembra piuttosto problematico nelle trattative. Con un candidato di spessore come Matteo Ricci si apre un’insidia per il governo nazionale. Acquaroli è un uomo molto vicino al premier e, se da quel territorio dovesse arrivare un cambio di passo, sarebbe un segnale non positivo per l’esecutivo.

De Luca non si può più presentare ma la questione terzo mandato è motivo di tensione anche nel centrodestra.

Sì, è un tema trasversale. L’obiezione di Zaia e De Luca era, a livello teorico, comprensibile. In realtà dal punto di vista dell’igiene politica, è giusto che il ciclo politico termini dopo due mandati. La verità è che si tratta di una battaglia interna ai partiti. Salvini è preoccupato perché sa che Zaia è un competitor per la segreteria del partito e che sul piano elettorale ha molto più consenso. 

Resta il nodo Campania. Cosa si aspetta?

Quella è una partita più difficoltosa per la sinistra, che esprime il governatore uscente. Pare che il nome che circola sia quello di Fico ma ancora un accordo non c’è. Resta il fatto che De Luca, pur essendo fuori dai giochi sul piano formale non penso che starà fermo.

In premessa lei ha parlato di geometrie variabili. Immagino che il suo riferimento fosse ai centristi. È possibile che assisteremo a scenari differenti rispetto ai posizionamenti nazionali?

È già successo, ad esempio a Genova e sono in corso delle trattative a Milano. Azione, coerentemente con il suo spirito, ha più volte dimostrato di votare i provvedimenti della maggioranza laddove ci fosse una condivisione di contenuti. Per cui non mi meraviglierebbe se il partito di Calenda appoggiasse candidature ritenute valide espresse dal centrodestra. A maggior ragione con un Pd che, guidato da Schlein, è sempre più schiacciato su posizioni di sinistra-sinistra.

Qual è la ragione storica per la quale le consultazioni regionali sono in qualche misura la camera di compensazione degli equilibri nazionali fra i partiti?

Fra il 1946 e il 1948 si consuma la prima disputa. La Dc era, inizialmente, favorevole alla spinta autonomista delle regioni, mentre il Pci era profondamente contrario. Poi, la situazione si capovolse. Un po’ come è accaduto alla Lega, passata dall’autonomismo di Bossi al partito nazionale di Matteo Salvini.


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