Il pontefice è arrivato a Castel Gandolfo per le sue brevi vacanze estive e la Chiesa istituzionale tira un sospiro di sollievo. Improvvisamente la grande tensione che l’aveva attraversata sembra svanita: niente più minacce quotidiane di scisma, niente urla. Sembra tornata la quiete istituzionale. E in questa ritrovata quiete l’impostazione ecclesiale di papa Francesco resta non solo presente ma ribadita non soltanto con le citazioni ma soprattutto con le scelte operative, concrete. La riflessione di Riccardo Cristiano
“La sfida è saper coniugare la preghiera con i gesti coraggiosi necessari e con la pazienza faticosa dei piccoli passi”. Forse il programma di Leone XIV sta in queste parole, contenute nel suo testo che appare sul Corriere della Sera di oggi, 9 luglio. Per argomentare questa ipotesi occorre partire dal contesto.
Papa Leone XIV è arrivato a Castel Gandolfo per le sue brevi vacanze estive e la Chiesa istituzionale tira un sospiro di sollievo. Improvvisamente infatti la grande tensione che l’aveva attraversata sembra svanita: niente più minacce quotidiane di scisma, niente urla. Sembra tornata la quiete istituzionale. Vista così la grande apprensione creata dal pontificato di Francesco si sarebbe dissolta. Leone XIV avrebbe saputo acquietare la cosiddetta “ala identitaria”, o conservatrice, o tradizionalista, con alcune scelte: è tornato a indossare la famosa mozzetta rossa, quella mantellina del colore prescelto dall’impero romano, quando il titolo di Pontifex Maximus, prima attribuibile alla suprema autorità religiosa, divenne attributo dello stesso imperatore, quasi unendo autorità politica e autorità religiosa; poi è tornato a vivere nell’ “appartamento”, cioè lì dove i papi hanno sempre dimorato prima di Francesco, nel palazzo Apostolico e non a Santa Marta, dove alloggiano tutti i monsignori in transito per motivi inerenti alla loro attività in Vaticano, dove si mangia nei locali della mensa; ora riprende l’abitudine delle vacanze a Castel Gandolfo, la villa pontificia poco distante da Roma. Dunque tutto torna ad essere come era? No.
Nella ritrovata quiete infatti l’impostazione ecclesiale di Francesco resta non solo presente ma ribadita non soltanto con le citazioni ma soprattutto con le scelte operative, concrete. Il fatto più eclatante in tal senso è stata la prima nomina in Vaticano: una suora al vertice di un Dicastero: impensabile prima delle riforme di Francesco. Inoltre il cosiddetto “primo papa americano” ha condotto la sua Chiesa in America a distanziarsi in modo evidente dall’amministrazione Trump non soltanto sulla scelta della grande deportazione, ma anche sulla legge finanziaria, da Trump definita “Big Beautiful Bill”, quella che taglia di grosso i fondi per Medicaid e per la tutela dell’ambiente; inoltre Leone stesso, sempre sul Corriere della Sera di oggi 9 luglio, ha ribadito l’approccio non identitario, ma quello opposto, pluralista, ribadendo la indispensabilità del dialogo interreligioso, della fiducia. In alcuni passaggi il magistero di Leone XIV può apparire poi più bergogliano di quello di Bergoglio. E non è tutto qui. Di mezzo ci sono anche capisaldi del nuovo corso ecclesiale avviato a Francesco.
È noto che la novità sinodale, cioè l’abbandono della una dimensione piramidale, verticista e clericale, è nettamente avversata dai critici di Bergoglio e della sua visione di Chiesa. Leone XIV ha ribadito la scelta sinodale sin dal suo breve indirizzo di saluto appena eletto: “A tutti voi, fratelli e sorelle di Roma, d’Italia, di tutto il mondo: vogliamo essere una Chiesa sinodale, una Chiesa che cammina”. Se la parola sinodale l’hanno notata tutti, il sintagma “Chiesa che cammina” è parso una ripetizione, visto che sinodo vuol dire “camminare insieme”. Ma non è solo questo: una Chiesa che cammina non è una Chiesa che sta ferma, abbarbicata alle sue certezze, alla sua certezza di essere un giudice al sopra e al di là della storia. No, piuttosto è una Chiesa che cammina perché sta con noi, nella storia. E per i dottrinalisti questo è problematico, molto problematico.
Ma cosa vuol dire “una Chiesa che cammina?” Francesco, che ha usato molto questo linguaggio e ha fatto di questa espressione un suo cavallo di battaglia, lo spiegò così: “ Cristiani fermi: questo fa male, perché ciò che è fermo, che non cammina, si corrompe. Come l’acqua ferma, che è la prima acqua a corrompersi, l’acqua che non scorre… Ci sono cristiani che confondono il camminare col “girare”. Non sono “camminanti”, sono erranti e girano qua e là nella vita. Sono nel labirinto, e lì vagano, vagano… Manca loro la parresia, l’audacia di andare avanti; manca loro la speranza. I cristiani senza speranza girano nella vita; non sono capaci di andare avanti. Siamo sicuri soltanto quando camminiamo alla presenza del Signore Gesù. Lui ci illumina, Lui ci dà il suo Spirito per camminare bene”.
Leone XIV intende smussare gli angoli? Cede sulla forma per mantenere il contenuto? Proclama il contenuto perché sa che ciò che conta è la forma? Non ragionerei così. Direi che ogni governante ha il suo stile di governo. Se tentassimo di individuare un’ immagine che esprima la sostanza dei governi che abbiamo conosciuto nel corso dei passati decenni potremmo ripetere convinzioni comuni: quella del papa caldo, con cui si definiscono Giovanni Paolo II e Francesco, e quella del papa freddo, che appare afferire a Paolo VI ed a Benedetto XVI. Nel primo caso emerge il gesto, il carisma, nel secondo il vocabolo, il testo. A proposito del primo stile potremmo dire che ha spiegato tutto il professor Andrea Riccardi con il suo famoso saggio su Giovanni Paolo II, un papa da lui molto amato: “Il governo carismatico”. Ha scritto il professor Riccardi: “Il pontificato di Wojtyla nasce in un tempo di crisi: si confronta con un Occidente difficile e secolarizzato. Una parte cospicua del mondo (quello da cui lui stesso viene) è dominata dal comunismo. II marxismo sembra affascinare una parte dei cristiani occidentali. Giovanni Paolo II affronta la crisi del cattolicesimo in una stagione che non sembra religiosa o che spinge la fede ai margini. Come affrontare la crisi e governare la Chiesa? La risposta di Wojtyla è molto personale: l’io si sostituisce al noi aulico usato dai suoi predecessori. È nella sua persona, più che in un progetto di governo, che si trovano le risposte di un metodo originale di fare il papa tra la caduta del muro di Berlino e la globalizzazione”.
Questo aspetto a mio avviso è stato rilevante anche in Francesco, per affrontare le nuove urgenze di un tempo nuovo e di una crisi nuova, quella in cui affascina il consumismo, non più il comunismo. E affascina anche molti cristiani. Ecco allora il papa che sale a bordo dell’areo portandosi in mano la borsa, dove lui stesso avrebbe spiegato che ci teneva il breviario, un libro, lo spazzolino, il dentifricio, il papa che indossa solo un semplice veste bianca, senza ricami, senza simboli altisonanti, non “griffata” per così dire, il papa che non va in vacanza. Non è questo “Francesco”? Il carisma “è” governo soprattutto per chi diffonde un messaggio più che varare tasse più o meno progressive.
E Leone XIV? C’è un passaggio del primo discorso pronunciato da lui che è stato ignorato ma è molto importante, questo: “E se mi permettete una parola, un saluto a tutti e in modo particolare alla mia cara diocesi di Chiclayo, in Perù, dove un popolo fedele ha accompagnato il suo vescovo, ha condiviso la sua fede e ha dato tanto, tanto, per continuare ad essere Chiesa fedele di Gesù Cristo”. Il papa americano si è presentato come già vescovo dell’altra America.
Papa Leone XIV è riuscito sin qui in un’impresa ragguardevole? Se si guarda dentro alla Chiesa sì; la tensione era eccessiva, la Chiesa aveva bisogno di un break. Ora però, se la cifra pontificale fosse quella qui indicata, nel frastuono del mondo contemporaneo, in questo flusso fragoroso di eventi spaventosi che rapisce nella sua rapidità, Leone XIV ha bisogno di un’immagine che ci arrivi al di là del fragore che sovrasta la parola. Come il santo prescelto da Francesco per indicarci la sua cifra pontificale – quello che nella piazza di Assisi si spogliò delle sete preziose di cui era vestito grazie alla ricchezza del padre e rimase nudo – lui si tolse i paramenti ecclesiali, il rosso imperiale, non per rottura, ma per dare un messaggio di alterità rispetto alla società consumista, quella dell’avere piuttosto che dell’essere.
Papa Leone, in coerenza con se stesso, sembra giunto al momento in cui per procedere ha bisogno del “gesto coraggioso” che affianca “la pazienza faticosa dei piccoli passi”.