Skip to main content

Prima i prestiti-trappola, ora manifattura a buon mercato. Il nuovo dominio cinese dell’Africa

Il modello cinese basato sulle esportazioni aggressive, a discapito dei consumi interni, miete un’altra vittima. I Paesi africani sono ormai inondati di prodotti a basso costo made in China. Una nuova forma di colonialismo, dopo la stagione dei finanziamenti tossici

L’Africa dovrebbe guardarsi le spalle dalla Cina. Sempre che non sia troppo tardi. Non sono certo una novità le mire del Dragone sul continente africano, su cui l’Italia è impegnata in una delicata e al tempo stessa ambiziosa opera di difesa, per mezzo del Piano Mattei concepito dal governo italiano. Gli anni trascorsi hanno visto intere economie africane demolite dai prestiti-trappola concessi dalle banche cinesi (ingenti finanziamenti ma dalle clausole vessatorie e ben imboscate e pronte a scattare al primo cenno di insolvenza), con il risultato che oggi Pechino è padrona del grosso delle infrastrutture africane, dai porti alle ferrovie. Adesso però il livello dell’invasione si sposta sul terreno commerciale. Non più soldi, bensì prodotti di alto e basso consumo, pronti a riversarsi sul mercato africano.

Ancora una volta, è l’effetto collaterale indesiderato della sovra capacità cinese, il modello industriale plasmato a immagine e somiglianza di Xi Jinping e basato su un principio: conta molto di più vendere all’estero e dunque esportare piuttosto che privilegiare l’offerta domestica e i consumi interni. Tradotto, tutto quello che il mercato cinese non assorbe, deve per forza di cose finire all’estero. E l’Africa, insieme all’Europa, è la nuova frontiera cinese. Se i calcoli di Bloomberg non mentono, l’Africa è insomma diventata un nuovo hotspot per i cinesi.

Con un salto del 25% su base annua a 122 miliardi di dollari, le esportazioni cinesi in Africa sono sulla buona strada per superare i 200 miliardi di dollari. Considerando in particolare l’Africa occidentale e il Sahel, aree ricche di risorse minerarie, le esportazioni del Dragone sono state rispettivamente di 57 miliardi e 16 miliardi, mentre per il Corno d’Africa, questi flussi commerciali hanno raggiunto i 7 miliardi. Le esportazioni cinesi sono costituite principalmente da macchinari ma anche da molti altri beni prodotti dalle industrie cinesi (calzature e abbigliamento, telefonia e dispositivi elettronici, parti e componenti per l’industria e così via). Dall’Africa la Cina importa, invece, principalmente materie prime, come petrolio, minerali e metalli necessari per l’industria cinese.

La guerra commerciale ci ha messo il suo zampino, dando impulso a un boom che si stava preparando da anni, guidato dalla Belt and Road Initiative presentata nel 2013. E mentre le aziende cinesi si aggiudicavano contratti per costruire di tutto, dalle ferrovie ai parchi industriali in tutto il continente, quest’anno è aumentata anche la domanda di macchinari e materiali per completare questi progetti. Dunque, si è passati ai prodotti. Nigeria, Sudafrica ed Egitto sono i maggiori acquirenti africani di prodotti cinesi, soprattutto macchinari per l’edilizia, la voce tra le esportazioni cinesi in più rapida crescita verso l’Africa nei primi sette mesi, con un incremento del 63% su base annua.

Per non parlare delle autovetture, più che raddoppiate rispetto all’anno precedente. Domanda, quando finirà tutto questo? Quando il Dragone finirà di invadere il mondo con la sua manifattura a basso costo? La risposta l’ha data uno dei più autorevoli centri studi europei, il Bruegel. “Il governo cinese sembra convinto che l’attuale modello di crescita, che  si allontana dalla dipendenza dal settore immobiliare, trainata dal debito, e si concentra sull’aumento della quota di mercato globale della Cina in termini di produzione industriale ed esportazioni, rimanga quello giusto. In altre parole, la necessità di un riequilibrio verso i consumi non sembra essere una vera priorità. Gli stimoli in corso sono diretti principalmente alle infrastrutture, il che significa che non ci si dovrebbe aspettare un’impennata significativa della domanda globale nel breve termine derivante dall’aumento dei consumi cinesi. In altre parole, il riequilibrio globale che Stati Uniti e Unione Europea si aspettano dalla Cina non si verificherà presto”. The end.


×

Iscriviti alla newsletter