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Roma e Belgrado, tutti i dossier della visita di Meloni in Serbia

Giorgia Meloni, sarà oggi a Belgrado per incontrare, alle 18:30, il presidente Aleksandar Vucic. Per molte ragioni la Serbia va avvicinata all’Ue, traccia di cui Roma è ampiamente consapevole: per il suo contributo valoriale sulle riforme, per la capacità di trainare altri Paesi in un’ottica comunitaria sulla difesa, per la possibilità di migliorare gli scambi commerciali e la strategia contro l’immigrazione illegale

C’è tanta densità dietro il termine “riunificazione balcanica” che Giorgia Meloni ha più volte utilizzato a proposito delle aspirazioni europee dei Paesi appartenenti a quella macro area. C’è la geopolitica che tocca le strategie future di Bruxelles, l’infrastrutturazione alla voce energia, la lotta all’immigrazione clandestina lungo la rotta balcanica e il ruolo italiano di pivot nell’intero costone, il tutto mescolato con la contingenza di guerre (Gaza e Kyiv) e fronti di tensione (Serbia-Kosovo). Va letta in questo senso la visita a Belgrado della presidente del Consiglio, dopo l’annullamento del vertice intergovernativo inizialmente fissato per fine gennaio e poi rinviato a causa della crisi politica del Paese.

Roma chiama Belgrado

Per molte ragioni la Serbia va avvicinata all’Ue, traccia di cui Roma è ampiamente consapevole: per il suo contributo valoriale alla voce riforme, per la capacità di trainare altri Paesi in un’ottica comunitaria sulla difesa, per la possibilità di migliorare gli scambi commerciali e la strategia contro l’immigrazione illegale. Temi che, sin dal primo incontro tra Vucic e Meloni, sono stati messi sul tavolo e metabolizzati dalle parti. Più in generale, oltre al buonissimo rapporto personale tra i leader, spicca la capacità dei due governi di dare vita ad una interlocuzione positiva che vede Roma pivot nei Balcani al pari del ruolo italiano (grazie al piano Mattei) in Africa. Ovvero l’esigenza di edificare relazioni con i singoli Paesi al fine di elaborare strategie condivise e implementare i rapporti bilaterali in un’ottica di insieme, azione che si sposa con problemi concreti: l’immigrazione, la lotta alla penetrazione nei Balcani dei super player esterni, la creazione di rapporti commerciali più solidi alla luce dell’export italiano. Tutti temi che, sin dalla conferenza sui Balcani ospitata da Trieste nel gennaio 2023, sono stati presenti nelle policies italiane.

Il passo in avanti

Non va dimenticato che l’adesione della Serbia alla Sepa (Area Unica dei Pagamenti in Euro) rappresenta un preciso passo in avanti, dal momento che faciliterà per i serbi effettuare pagamenti all’estero in euro e senza passare da banche intermediarie: è questo un esempio concreto del piano Ue di crescita per i Balcani occidentali, che si deve interfacciare, gioco forza, da un lato con l’azione riformatrice interna e, dall’altro, con le interlocuzioni con altri Paesi. In questo senso l’Italia gioca un ruolo centrale anche alla luce delle infrastrutture legate alla geopolitica, come il progetto del Corridoio pan europeo 10, la bretella che dall’Austria giungerà al porto greco di Salonicco. Italia e Serbia, dunque, sono vicini e alleati anche in ottica infrastrutturale e industriale. Nel Paese l’Italia vanta una buon radicamento grazie a 800 aziende (con capitale o partecipazione italiana), con una interessante prospettiva: rafforzare la propria posizione strategica nell’intera regione.

Roma e i Balcani: quali prospettive?

Oltre al prezioso ruolo diplomatico del governo di Roma, costantemente impegnato a sostenere le politiche europee di allargamento, spicca la moral suasion in loco al fine di stemperare l’influenza di Cina e Russia nei Balcani. Passaggio che, in chiave Nato, è altrettanto strategico se letto in parallelo alla risoluzione di fronti di crisi come quello con il Kosovo. Il tutto tenendo ben presente il dossier energetico, sempre rilevante: la Serbia si trova in grosse difficoltà per le forniture energetiche, dopo che le sanzioni statunitensi hanno colpito la sua principale compagnia petrolifera e del gas a causa della proprietà russa. La maggioranza della Naftna Industrija Srbije (NIS) è detenuta dalle russe Gazprom e Gazprom Neft.

Inoltre tutti i Balcani occidentali dipendono fortemente dal carbone e le rinnovabili possono rappresentare una parziale soluzione, altro elemento in cui l’Italia può inserirsi: dal 2022 infatti Arera, l’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente, ha istituito la Balkan Energy School (BES) proprio al fine di valorizzare scambio di conoscenze nel settore energetico.


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