Nell’ultimo Consiglio europeo Giorgia Meloni lo ha ripetuto come un mantra: il green deal se non annacquato rischia di portare l’industria delle quattro ruote al collasso. Ma nell’attesa che la politica faccia i suoi passi, gli economisti suggeriscono di lavorare alla domanda: un ecoincentivo alla francese ma formato europeo per invogliare le famiglie a comprare un’auto elettrica
Difficile dire se l’Europa dell’auto ce la possa fare. Di sicuro, senza una sterzata, sarà difficile cambiare il corso della storia. L’industria continentale delle quattro ruote vive la sua ora più buia, stretta in una morsa micidiale: da una parte la Cina, che con le auto elettriche sta lentamente, ma costantemente, saturando il mercato europeo (dopo aver fatto esplodere quello cinese). Dall’altro quel Green deal da sempre indigesto ai costrutti europei. Impossibile, ancora oggi, pensare di mandare in pensione benzina e diesel entro il 2035 è pressoché impossibile, perché le linee produttive non sono ancora attrezzate per reggere il ritmo delle case cinesi. E le stesse auto elettriche costano ancora troppo.
Giorgia Meloni, a margine dell’ultimo Consiglio europeo, lo ha ripetuto per l’ennesima volta. Servono interventi urgenti a sostegno del comparto automobilistico e delle imprese ad alto consumo energetico e questo non è possibile senza un approccio più realistico sulle regole che riguardano l’elettrificazione e la transizione verde. La questione non è solo italiana. Negli ultimi mesi, molti dei principali Paesi europei hanno chiesto una riflessione più ampia sulle politiche industriali e ambientali legate alla mobilità. Il blocco alla vendita di auto termiche dal 2035, già approvato a livello comunitario è, come detto, oggi uno dei punti più discussi e divisivi, sia a livello politico che pubblico.
Meloni, come altri leader europei, ha espresso la necessità di non sacrificare interi settori produttivi sull’altare dell’ideologia, spingendo per un modello di transizione che tenga conto delle realtà industriali e occupazionali. Un messaggio che trova sempre più sponde, soprattutto dopo le recenti difficoltà vissute da molti costruttori auto europei, in particolare nel comparto elettrico. Dietro le dichiarazioni politiche si intravede una preoccupazione concreta: la perdita di competitività rispetto a Cina e Stati Uniti, dove i costi di produzione e le politiche di incentivo hanno favorito la diffusione dei veicoli elettrici molto più rapidamente.
Va bene, questa è la politica. Però rimane la domanda di fondo. Quale il futuro delle quattro ruote europee? Gli economisti del Centre for european reform non hanno dubbi, sarà ancora una volta il palazzo a dare le carte. “Le auto del futuro saranno elettriche, non per via delle normative, ma perché presto saranno notevolmente più economiche. Se l’industria automobilistica europea vuole sopravvivere, deve accelerare la transizione verso la produzione di veicoli elettrici di alta qualità, accessibili e redditizi”. Vero, ma con quali tempi? E con quali soldi? I costruttori europei oggi non hanno le spalle sufficientemente larghe a una riconversione delle flotte e delle linee così veloce e massiva.
“Le case automobilistiche europee”, si legge nel report del Cer, “si trovano ad affrontare un ritardo nella progettazione dei veicoli elettrici, un divario nelle batterie e nel software e un’infrastruttura di ricarica disomogenea. Questi problemi sono difficili da risolvere rapidamente. Ma contrastare la debolezza della domanda e compensare la perdita di domanda di esportazione, al contrario, sono problemi che l’Ue può affrontare. Invece di manomettere le normative, l’Ue dovrebbe garantire che la domanda proveniente dall’enorme mercato unico europeo, con 450 milioni di consumatori e un vasto settore aziendale, stimoli la produzione europea. Ciò significa principalmente sostenere la domanda attraverso sussidi ai consumatori, con una clausola di acquisto europeo coordinata tra gli Stati membri. La maggior parte degli Stati membri ha già introdotto programmi di sostegno per i veicoli elettrici, ma sono completamente scoordinati. Ora c’è un’opportunità unica per fare meglio, con l’Ue che sta rivedendo la regolamentazione del parco auto aziendale e con l’introduzione di nuovi sussidi per i veicoli elettrici da parte di alcuni Stati membri chiave”.
Insomma, lavorare di incentivi per aumentare la domanda di auto green. “Occorre europeizzare l’ecobonus francese. Il modello transalpino, con il suo sistema di punteggio basato sulle emissioni di carbonio, è il più pratico da adottare negli Stati membri. Indirizza efficacemente la domanda verso i veicoli elettrici prodotti in Europa ed esclude la produzione cinese, poiché limita i sussidi ai modelli di veicoli elettrici prodotti in filiere a basse emissioni. Sarà necessario aggiornarlo, ma è efficace. Oggi Germania, Francia, Spagna e Italia rappresentano insieme il 70% delle immatricolazioni di nuove auto nell’UE. Per sostenere il settore automobilistico, la Germania si è appena impegnata a reintrodurre i sussidi per i veicoli elettrici. Dotarla dell’ecobonus allineerebbe la Germania alla Francia e sosterrebbe una politica di acquisto europeo”.
Insomma, “un ecobonus europeo implica un costo fiscale aggiuntivo, ma molti Stati membri sovvenzionano già l’acquisto di veicoli elettrici da parte di famiglie e aziende. Un sostegno più coordinato e aggiuntivo offrirebbe un ottimo rapporto qualità-prezzo: amplierebbe la portata delle tecnologie future e proteggerebbe l’industria automobilistica dagli shock geopolitici in modo più efficiente rispetto a una serie di programmi nazionali diversi”. Facile. O no?
















