Il tour di von der Leyen in alcuni Paesi del costone balcanico è indicativo dell’attivismo europeo in chiave “riunificazione”, iniziativa in cui l’Italia sta giocando un ruolo primario con le costanti interlocuzioni del governo Meloni in quei Paesi. Ma serve un passo in più. I casi di Montenegro e Bosnia
Investire nei Balcani occidentali, chiede la presidente della Commissione Ue Ursula Von der Leyen, non solo per aprire la strada a nuove adesioni in chiave “riunificazione balcanica”, ma anche per non lasciare l’intera area in mano a Cina e Russia (ma non mancano le criticità). Questa l’intenzione europea che sta proseguendo lungo una direttrice di marcia imboccata da tempo, ma che ha subìto una decisiva accelerazione dopo l’invasione russa dell’Ucraina. La consapevolezza di una sterzata netta si sposa con le rinnovate esigenze di leadership dei vertici Ue, chiamati ad una stagione del tutto diversa rispetto al recente passato, non fosse altro per la strategicità del dossier difesa che proprio dal versante orientale dei Balcani si lega geopoliticamente alla cerniera est di Ue e Nato.
“Se scegliete i Balcani occidentali, scegliete l’Europa”, ha detto von der Leyen in occasione del primo Forum sugli investimenti Ue-Balcani occidentali a Tirana. Un attivismo in cui l’Italia sta giocando un ruolo primario con le costanti interlocuzioni del governo di Giorgia Meloni in quei paesi. Il rifermento di Von der Leyen è a tematiche chiave come l’intelligenza artificiale e l’energia pulita che si stanno integrando tra Bruxelles e regione balcanica. In questo senso va letto in positivo l’ingresso dell’Albania nel sistema di pagamenti Sepa: “Le commissioni erano fino a 6 volte più alte rispetto alla nostra unione; ora si risparmieranno circa 500 milioni di euro all’anno”, aggiungendo che la Polonia ha triplicato la propria economia, la disoccupazione in Croazia è scesa dal 17 al 4 per cento. “Lo stesso accadrà nei Balcani occidentali, non in un futuro lontano”. L’immediato futuro ha un nome: il Piano di crescita.
Pollice in su va al Montenegro, che secondo von der Leyen ha compiuto “progressi importanti in riforme chiave e, grazie a ciò, sono lieta di annunciare l’erogazione di 8 milioni di euro del Piano di crescita”, iniziativa che ha il potenziale di raddoppiare l’economia del Balcani occidentali in questo decennio. Dinanzi al premier Milojko Spajic, il numero uno della commissione ha ribadito i passi in avanti compiuti dal Montenegro (“siete in prima linea, senza ombra di dubbio, nel processo di adesione, dalla mia visita dell’anno scorso, avete chiuso quattro capitoli negoziali: una velocità incredibile. E siete sulla buona strada per chiuderne altri cinque quest’anno”). All’orizzonte, dunque, si materializza il raggiungimento dell’adesione del 28° membro entro il 2028. Un altro progresso si ritrova nell’abolizione del roaming tra il Montenegro e l’Unione Europea che secondo Von der Leyen si attuerà nel corso del prossimo anno. Tutto rose e fiori? No.
C’è un tema che riguarda la Bosnia, che assieme al conflitto tra Serbia e Kosovo resta il principale nodo politico ad oggi irrisolto. Non a caso von der Leyen visita la Bosnia Erzegovina in un momento in cui il Consiglio dei ministri ha presentato alla Commissione l’Agenda di riforme del Paese nell’ambito del Piano di crescita europeo. L’obiettivo è capire come il Paese potrà progredire nel suo percorso europeo anche alla luce delle possibili interferenze esterne.
Le frizioni interne non aiutano, come la questione della terza entità solo croata in Bosnia Erzegovina, definitivamente esclusa dal ministro degli Esteri e leader del partito Narod i Pravda (NiP), Elmedin Konakovic, che ha così risposto al presidente dell’Snsd e leader della Repubblica Srpska entità serba, Milorad Dodik. Quest’ultimo aveva ammonito che “una soluzione permanente” per la Bosnia Erzegovina sarebbe “la formazione di tre entità: musulmana, croata e serba”.