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L’Europa cerca la pax con la Cina sulle terre rare. I giorni cruciali di Bruxelles

Domani Washington e Pechino sanciranno la fine di buona parte delle ostilità commerciali. Ma nel mentre c’è un’altra partita, ancora tutta da giocare. L’Unione europea è pronta a negoziare con il Dragone il ripristino delle forniture di minerali critici, nell’attesa di rendersi finalmente autonoma. La diplomazia è al lavoro e forse entro qualche giorno ci sarà una svolta. Ma qualora il piano fallisse, c’è un bazooka pronto a sparare

Sono momenti decisivi per capire se l’Europa potrà ancora contare sulle forniture cinesi di minerali critici o dovrà, invece, camminare sulle sue gambe. Ipotesi, quest’ultima, piuttosto remota. L’autonomia strategica, in qualunque campo, non si costruisce dall’oggi al domani, servono accordi ben strutturati e robusti, in grado di resistere alle inevitabili forze che, prima o poi, si palesano.

Gli Stati Uniti, per esempio, stanno gettando solide basi, attraverso una fitta rete di intese trasversali con quei Paesi ricchi di miniere (come l’Ucraina) ma fuori dall’orbita cinese. Un gioco di fino, da equilibristi, visto che Pechino controlla tra il 70 e il 90% delle terre rare sparse per il globo. Donald Trump, nelle more, ha fatto poi di meglio, assicurandosi nella bozza di accordo che sarà domani sul tavolo del vertice in Corea del Sud con Xi Jinping, una maggiore flessibilità nelle esportazioni di minerali verso gli Usa. Nell’attesa che Washington brilli di luce propria grazie a forniture che non transitano per il Dragone.

E l’Europa? L’Europa no, non è ancora sintonizzata. Certo, a Bruxelles, raccontano alcuni ambienti, c’è contezza della situazione. Senza minerali critici, dunque senza importazioni dalla Cina, auto e Difesa rischiano la caduta libera. Non è pensabile. E per questo, come raccontato da questo giornale pochi giorni fa, si è messa in moto la macchina della diplomazia. Dopo la videochiamata della settimana scorsa tra il Commissario europeo al commercio, Maroš Šefčovič e il suo omologo cinese Wang Wentao, con ogni probabilità tra oggi e domani ci sarà una nuova tornata di negoziati. Potrebbe essere addirittura lo stesso esponente del governo cinese a planare su Bruxelles per intavolare una trattativa.

Non un compito facile. La scorsa estate, per esempio, era stata Ursula von der Leyen a volare a Pechino, forse fiutando aria di stretta sulle esportazioni di terre rare. Cosa che poi è realmente avvenuta, due mesi dopo, mandando in corto circuito i mercati delle commodities. L’opera di sminamento, dunque, finora non ha dato i suoi frutti. Anche perché nel frattempo è piombato sul dossier minerali, il caso Nexperia. Il colosso dei chip di proprietà cinese ma con base in Olanda è stato nazionalizzato de facto dal governo, mandando su tutte le furie le autorità cinesi. Le quali hanno reagito con una violenta serrata degli approvvigionamenti.

Adesso però, nell’attesa di capire se con la Cina si troverà la quadra, c’è un piano dell’Europa per gettare le basi di quello sganciamento dalla Cina che gli Stati Uniti hanno già messo in pratica. Lo ha annunciato la stessa von der Leyen, avanzando alcune proposte concrete per evitare il rischio di essere irrilevante, messa all’angolo dalla competizione Usa- Cina.

Tutto gira intorno a una regolamentazione unica per le imprese innovatrici e allo slogan RESourceEU, sorta di spin-off dell’iniziativa REPowerEU, creata per rispondere allo stop del gas russo. Il ReSourceEU sarà presentato entro la fine dell’anno e l’obiettivo è garantire l’accesso a fonti alternative di materie prime essenziali a breve, medio e lungo termine per l’industria europea. Il piano includerà misure per promuovere l’economia circolare, in modo da riutilizzare al meglio le materie prime essenziali già contenute nei prodotti venduti in Europa, acquisti collettivi e stoccaggio strategico. Inoltre, ha detto von der Leyen, facendo suo il metodo americano, “accelereremo i lavori sui partenariati per le materie prime essenziali con paesi come Ucraina, Australia, Canada, Kazakistan, Uzbekistan, Cile o Groenlandia”.

Tutto ancora molto fumoso, abbozzato, privo di dettagli. Ma la volontà politica c’è. E poi ci sono le armi. Non quelle tradizionali, non i missili, ma quelle economiche, comunemente conosciute come bazooka. In caso di fallimento dei negoziati, Bruxelles può disporre dello strumento anti-coercizione entrato in vigore nel dicembre 2023 e ancora mai utilizzato. Questo offre un ventaglio di contromisure che vanno dall’imposizione di dazi alle restrizioni al commercio dei servizi e agli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale, fino a restrizioni all’accesso agli investimenti diretti esteri e agli appalti pubblici.

A soli tre mesi dal vertice Ue-Cina in cui si sono celebrati i cinquant’anni delle relazioni diplomatiche tra Bruxelles e Pechino, l’ipotesi di ricorrere a un’arma così invasiva rende l’idea della fragilità delle relazioni con la Cina nell’attuale frangente. C’è chi non è d’accordo con questa ipotesi. Come la Germania, che in queste ore ha lanciato un appello alla calma. “Vogliamo un dialogo stretto con la Cina”, ha dichiarato Johann Wadephul, ministro degli Esteri del governo federale. Chissà, se alla fine, si risolverà tutto intorno a un tavolo.


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