Dopo mesi di silenzio, l’annuncio dell’alleanza satellitare con Airbus e Thales ha proiettato Leonardo nel mercato spaziale europeo, con l’ambizione di dare vita a un vero campione continentale dello spazio. Eppure, senza lanciatori i satelliti restano a terra, così come le ambizioni di autonomia strategica. Il progetto Bromo potrebbe essere solo la mossa iniziale di un piano ben più ambizioso, che mira direttamente a sfidare i colossi mondiali dello spazio
Se l’Europa politica stenta ancora a dare segnali concreti di unità, l’industria, dal canto suo, sembra avere le idee chiare sul futuro. Anche più di quanto non racconti apertamente, almeno finora. Dal palco di Atreju, Roberto Cingolani ha rivelato ulteriori dettagli su due dei dossier più sensibili a cui Leonardo sta lavorando, segnatamente il Michelangelo Dome e il progetto Bromo. Entrambi condividono l’impostazione europea che contraddistingue ormai da tempo la strategia di piazza Monte Grappa, che mira a ridurre la frammentazione industriale sul continente e a porre le basi per un’armonizzazione di strategie, sforzi e linee programmatiche. Eppure, più di un segnale fa pensare che l’ambizione dell’ex-Finmeccanica potrebbe spingersi ben oltre. Fino alla sfida aperta ai signori globali dello spazio.
Senza capacità di lancio, i satelliti servono a poco
Se il Michelangelo Dome si propone come la panacea (temporanea) all’estrema frammentazione dei sistemi difensivi europei – dall’early warning ai radar, dagli intercettori ai sistemi di tracciamento simultaneo –, l’alleanza con Airbus e Thales (nota anche come progetto Bromo) punta a creare un campione continentale dei satelliti, capace di rivaleggiare con i colossi cinesi e americani. Tuttavia, non è stato solo Cingolani a ricordare, in più di un’occasione, che senza un accesso autonomo allo spazio anche i satelliti più avanzati non rimangono altro che asset subordinati alla buona volontà (o disponibilità) di chi detiene le capacità di lancio. Nelle sue parole, “stiamo a litigare su chi fa il satellite migliore, ma non sappiamo come lanciarlo”.
Gli unici lanciatori europei attualmente a disposizione sono l’Ariane 6 e il Vega-C. Entrambi condividono un ritmo di lanci nettamente inferiore rispetto ai competitor americani (meno di 10 all’anno contro i quasi 200 di SpaceX), oltre ad appartenere a una generazione obsoleta, sprovvista di moduli riutilizzabili. Il segreto delle centinaia di lanci di SpaceX risiede infatti nella disponibilità di vettori parzialmente o totalmente riutilizzabili, i quali non solo garantiscono di accorciare i tempi tra un lancio e un altro, ma anche di abbattere sensibilmente i costi per i committenti. Tant’è che il grosso dei satelliti europei non vengono messi in orbita da aziende europee con vettori europei, ma proprio da SpaceX di Musk e Blue Origin di Jeff Bezos.
La strategia europea di Leonardo
Sin dal suo insediamento alla guida di Leonardo nel 2023, la strategia delle alleanze di Cingolani ha avuto delle chiare linee-guida. Si individua una lacuna comune, si cercano sinergie con altri partner interessati a colmarla e da lì ci si muove sulla base di alleanze e percorsi condivisi, siano essi in forma di consorzi o joint venture. Parola d’ordine: cooperazione invece di competizione. È stato così sul segmento terrestre con Rheinmetall, in quello aereo con il Gcap insieme a BAE Systems e Mitsubishi Heavy Industries, e in quello dei droni con la turca Baykar. Comun denominatore di tutte queste imprese sembra essere proprio quello di dotare l’Europa della massa critica di cui manca per ambire realisticamente all’autonomia strategica. Focus industriale peraltro corroborato dalla cessione di quote della controllata americana di Leonardo (Leonardo DRS), operazione che ha fornito la liquidità necessaria per finanziare le acquisizioni di piccole realtà europee altamente specializzate e per lanciarsi nei nuovi progetti continentali. La domanda sorge dunque spontanea: quale sarà il passo successivo?
Il convitato di pietra delle lacune europee
“Bromo è il primo mattoncino di una cosa più grande”, ha dichiarato Cingolani. Per amor di cronaca, vale la pena chiarire che con questa affermazione l’ad si riferiva ai satelliti come una parte della “rete” della difesa aerea europea del futuro. Tuttavia, in questo piano per dotare l’Europa di una difesa multidominio integrata, rimane un grande assente: i lanciatori. Come si è visto, senza capacità di lancio nessun programma spaziale può risultare, se non credibile, quantomeno autonomo. Nell’ultimo triennio, Leonardo non ha solo condotto una poderosa riforma interna, ma ha anche affrontato, punto per punto, tutte le principali lacune dell’ecosistema della difesa europea, e Michelangelo testimonia l’ambizione di Monte Grappa di farsi catalizzatore delle capacità europee e propugnatore di un approccio che tagli i ponti con un passato fatto di competizione e concorrenza intra-europea. Ancora Cingolani: “Forse è il caso che (gli Stati europei, ndr.) si mettano al tavolo e, invece di fare il campionato europeo dello spazio, facciano una sola squadra per partecipare al campionato mondiale dello spazio”. E, in questo campionato, i vettori di lancio sono il vero asset cruciale.
Una scommessa ad alto rischio, ma potenzialmente rivoluzionaria
Sia chiaro, è vero che a oggi nessun singolo attore europeo ha le risorse (e, a quanto pare, l’ambizione) per lanciare il guanto di sfida ai razzi di SpaceX e affini. Parimenti, un ritardo come quello europeo – soprattutto per quanto riguarda i vettori riutilizzabili – non si recupera in poco tempo. Anche al netto del fatto che, come avviene nel ciclismo, chi arriva per primo facilita la corsa a chi segue, potrebbero comunque volerci anni prima di recuperare il terreno perduto. E gli ostacoli su questa strada – già di per sé in salita – non sono pochi, dalle già citate rivalità intra-europee alla mancanza di finanziamenti paragonabili a quelli d’oltreoceano. Eppure, Bromo potrebbe essere proprio un modo per tastare questo terreno. Un “primo mattoncino” per portare i campioni dello spazio europeo a collaborare in modo diverso rispetto al passato, a cominciare da un segmento dal rischio relativamente più basso come quello dei satelliti. Se questa formula dovesse funzionare, perché escludere un salto di scala? Perché non immaginare che il prossimo passo della strategia di Cingolani riguardi proprio il vero anello mancante dell’Europa spaziale: i lanciatori?
















