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Tripoli brucia. Nell’attesa della conferenza di Roma si spera negli Usa

difesa

A quasi due mesi dalla conferenza internazionale che si terrà in Sicilia a metà novembre, i dubbi sulla Libia e sul suo futuro si fanno sempre più evidenti. L’esigenza è che le forze in campo prendano una posizione adeguata alle loro possibilità per dipanare il pericoloso intreccio che nel  Paese continua a far contare morti e feriti. E ormai è evidente che le influenze esterne, che in questa storia hanno giocato un ruolo fondamentale, debbano arrivare in fondo alla questione, quantomeno per cercare di rimediare agli errori commessi in passato. Ma l’Italia, che pure è ormai ben predisposta al ruolo di mediatore e che negli ultimi tempi si è ritagliata nel Paese, mettendosi all’ascolto delle diverse parti presenti nella regione, conta ancora sull’aiuto di un altro attore di primo piano: gli Stati Uniti.

Si legge in un articolo apparso questa mattina sul Corriere della Sera come il governo italiano si stia muovendo così da poter avere la partecipazione all’appuntamento di novembre del segretario di Stato americano Mike Pompeo. Una presenza che lo stesso Pompeo starebbe seriamente valutando, e che segnerebbe un ulteriore punto importante per l’azione italiana in Libia. Comunque, che gli Usa si stiano muovendo sul fronte libico era ormai chiaro ai più attenti.

La nomina di Stephanie Williams a vice rappresentante per gli affari politici in Libia, al fianco dell’inviato speciale Onu Ghassan Salamè, è stato uno dei primi segnali palesi di come l’amministrazione Trump non sottovalutasse la situazione del Paese nordafricano. D’altra parte, non dobbiamo nemmeno dimenticare le parole che il presidente statunitense rivolse al premier Giuseppe Conte durante la sua visita a Washington. The Donald riconobbe ufficialmente il ruolo di attore privilegiato dell’Italia in Libia, fornendo ulteriore garanzia all’azione del governo, che in quei giorni affrontava un viaggio dopo l’altro nel tentativo di riacquistare forza e credibilità con le parti in causa.

La partecipazione di Pompeo all’incontro programmatico, dunque, oltre a mettere l’Italia nuovamente un passo avanti alla Francia (il segretario di Stato Usa non partecipò invece alla conferenza di Parigi indetta da Macron a maggio), potrebbe favorire, allargando il raggio di azione, la stabilizzazione del Paese. Il ministro degli Esteri italiano, Enzo Moavero Milanesi, infatti, in una telefonata al Corriere fa presente esattamente questo: se la strategia principale per arrivare a una risoluzione dialogica e stabile in Libia deve passare per le elezioni, e se per arrivare a queste è necessario che ci siano delle condizioni di sicurezza e trasparenza, un “accordo favorito e appoggiato dalle potenze internazionali – come – Russia, Gran Bretagna, Francia, Cina e soprattutto Stati Uniti” potrebbe rivelarsi il modo più adatto per giungere all’obiettivo.

Ma, non bisogna dimenticarlo, se la comunità internazionale continua a guardare alle cifre e alle strategie di una battaglia che sembra soffrire di un egocentrismo che ha poco a che vedere con il sangue che continua a scorrere per le strade della capitale libica, il generale Khalifa Haftar muove lentamente i suoi passi verso Tripoli. Dagli scontri degli ultimi giorni appare evidente che, come si legge in un reportage dell’inviato del Corriere della Sera Lorenzo Cremonesi, la tensione nel Paese alimenta una crescente debolezza del governo riconosciuto di Fayez al Serraj. L’uomo forte della Cirenaica è, come da lui stesso riferito, “fermo alla finestra”, in attesa del momento propizio per “marciare” con il suo Esercito nazionale. Senza esacerbare gli animi confusi e arrabbiati della popolazione e delle milizie, consapevole di essere di fronte al momento forse davvero propizio. Uno spiraglio di luce che entra attraverso sia l’oggettiva insufficiente azione dell’Onu, sia attraverso una comunità internazionale più preoccupata a risolvere le beghe interne.

Haftar marcia instancabile, e riacquista una forza che evidenzia anche attraverso le ultime dichiarazioni contro l’Italia. Il generale chiede la restituzione dei teschi dei ribelli libici morti, a suo dire decapitati, durante l’occupazione coloniale e, secondo Haftar ancora conservati a Roma. Un’accusa che alza nuovamente i toni, dopo la recente visita di Moavero che sembrava aver disteso gli animi e aver trovato dei punti di contatto.

Intanto gli impianti petroliferi continuano ad essere nel mirino delle milizie, la Noc di Tripoli trema, gli aeroporti chiudono e riaprono continuamente. Un colpo di scena potrebbe esserci con la conferma della discesa in campo di Saif al Islam, figlio del colonnello Gheddafi, ma lo scenario fumoso non consente ancora previsioni certe.

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