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Fra Usa e Iran c’è di mezzo l’Aja

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“Washington dovrebbe smettere con la sua cattiva abitudine di imporre sanzioni tiranniche e illegali al popolo e ai cittadini di altri Paesi, e tornare a essere un membro attivo e normale della comunità internazionale”, scrive in un comunicato il ministero degli Esteri iraniano, riferendosi a una decisione della Corte di Giustizia internazionale (Icj) che ha dichiarato illegittime le sanzioni che gli Stati Uniti stanno riapplicando all’Iran dopo essere usciti dall’accordo multilaterale sul congelamento del programma nucleare siglato nel 2015.

A luglio, davanti all’inizio della reintroduzione delle sanzioni, il governo iraniano aveva presentato causa all’Aja, perché considerava la decisione americana una violazione del trattato di Amity, un accordo di amicizia che risale al 1955, quando ancora in Iran non c’era stata la rivoluzione khomeiniana (1979) e i rapporti tra i due paesi erano ottimi. La linea difensiva dell’Iran sostiene – la causa è stata discussa in aula alla fine di agosto – che gli americani hanno colpito in maniera eccessiva l’intera economia iraniana, e questo ha “strangolato” i comuni cittadini, violando diversi articoli di quel trattato.

Nella sentenza di oggi, che non determina sulla revoca completa delle sanzioni richiesta dagli iraniani, c’è scritto che “la corte ritiene che gli Stati Uniti, in conformità con gli obblighi previsti dal trattato del 1955, debbano rimuovere, mediante la propria scelta, qualsiasi impedimento” che le misure restrittive si portano dietro nei campi che riguardano bisogni umanitari, medicinali, prodotti alimentari e agricoli di base, aviazione civile.

La decisione uscita oggi dalla Corte è “una misura provvisoria”, vincolante e inappellabile, ma il verdetto definitivo potrebbe arrivare anche tra diversi anni. Intanto, l’Icj non ha gli strumenti giuridici per esercitare potere coercitivo sul rispetto della sentenza, anche perché gli Stati Uniti classificano la ri-applicazione delle sanzioni come una necessità per la sicurezza nazionale. Però è un segnale duro che la Comunità internazionale manda a Washington, su un dossier che l’amministrazione Trump considera tra quelli prioritari – il contrasto all’Iran, partendo dal nucleare per allargarsi ad altre politiche velenose – e su cui invece i partner dell’asse occidentale, i paesi dell’Unione Europea, si stanno dimostrando su una traiettoria opposta, condivisa con Russia e Cina (cofirmatari dell’accordo).

Nei giorni scorsi, Bruxelles (tramite Lady Pesc, Federica Mogherini) ha fatto sapere di aver definito i punti di un sistema con cui mantenere attivo l’accordo con Teheran (lo chiamano “special purpose vehicle, Svp”) nonostante le sanzioni americane – e ai rischi collegati per le ditte europee che si sarebbero trovate a fare business contemporaneamente in Iran e Stati Uniti. In un’intervista alla Bbc, il ministro degli Esteri iraniano, Javad Zarif, ha detto che il sostegno dell’Europa per preservare l’accordo nucleare del 2015 nonostante le pressioni statunitensi è stato più forte del previsto e che a questo punto gli effetti delle sanzioni americane e dell’uscita di Washington dal deal saranno molto annacquati se non nulli (anche se la realtà potrebbe essere diversa, e già diverse aziende europee hanno rivisto i loro piani iraniani, ndr).

Secondo Zarif, l’amministrazione Trump ha sviluppato “idee deliranti” sull’Iran; il ministro parlava del fatto che gli americani stavano pure pensando a un regime change a Teheran. Poi oggi su Twitter ha scritto che è “imperativo per la comunità internazionale contrastare collettivamente l’unilateralismo statunitense”. Il capo della diplomazia iraniana ha definito le mosse statunitensi come una “guerra psicologica”, appoggiata dai “clienti regionali” americani, più che una “guerra economica”.

La Corte internazionale, con la sentenza, ha anticipato di un mese esatto la data in cui entreranno in vigore altre, e più dure, misure sanzionatorie (riguarderanno l’export petrolifero e il settore bancario, saranno attive dal 4 novembre), su cui però difficilmente Washington tornerà indietro – il dipartimento di Stato ha già criticato la sentenza, ricordando chele esportazioni di cibo, medicine e attrezzature mediche collegate alle attività umanitarie sono consentite dalle attuali sanzioni (per gli americani gli iraniani hanno abusato del potere della Corte, cercando una punizione contro la Casa Bianca per l’uscita dall’accordo sul nucleare).

Zarif ha annunciato alla Bbc che l’Iran vuol capire bene se il sistema pensato dall’Europa (con la Cina e la Russia), per mantenere attivi i rapporti economici-commerciali salvaguardandoli dalle sanzioni indirette americane, funzionerà. “Saremo pazienti per un po’ – ha detto – ma non lo saremo per sempre”. Si tratta di parole collegate anche alla necessità di mantenere una postura rigida e senza debolezze, perché Teheran sa bene che ha bisogno dell’accordo, e della riapertura europea per crescere. Però l’Iran ha una contropartita: minacciare di uscire dal deal e riavviare il programma atomico, che invece per Stati Uniti e Israele non è stato mai sospeso, portato avanti con l’inganno in forme clandestine.

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