In un momento in cui le cure sanitarie sono al centro del dibattito politico – e non solo – parlare di sanità, salute, accesso ai farmaci e vaccini con addetti ai lavori ed esperti non può che riportare la discussione su una traiettoria se non più corretta, certamente più autorevole e, tutto sommato, più proficua. Una traiettoria che miri, insomma. ad eliminare l’inequità di accesso alle cure e garantire a tutti il diritto alla salute. Di questo, infatti si è parlato, all’incontro organizzato al Senato da Formiche e Gsk “Global health. L’Italia driver di best practice”.
“Senza salute non ci può essere null’altro”, ha detto il padrone di casa e senatore Antonio de Poli. “Secondo l’ultimo rapporto Eurostat sulle difficoltà di accesso alle cure – ha continuato – il 30% delle famiglie non vi hanno accesso, anche nei Paesi sviluppati come quelli europei”. “Eliminare le disuguaglianze negli accessi ai servizi della sanità è la priorità”, ha concluso. A fargli da eco, il sottosegretario al Mise Michele Geraci, che ha chiuso i lavori. “Il governo è focalizzato sulla collaborazione affinché si proteggano le fasce più deboli, sotto il profilo economico, dell’inclusione sociale e anche della salute”.
“Grazie ai vaccini, negli ultimi 16 anni 640 milioni di bambini sono stati immunizzati e 9 milioni di morti sono state evitate”, ha detto David Salisbury della Chatham House. “Il contributo dei vaccini è straordinario”, ha continuato. “Vi faccio un esempio: nell’Africa sub-sahariana, nella cosiddetta cintura della meningite, il rischio di contrarre questa malattia è elevatissima. Eppure, negli ultimi anni 268 milioni di persone sono state immunizzate grazie a un nuovo vaccino”, ha detto. Per continuare a produrne di nuovi, però, c’è bisogno di investire nella ricerca. Ad oggi “20 milioni bambini ancora non hanno le vaccinazioni necessarie e Paesi che avevano raggiunto una copertura vaccinale ottimale stanno facendo passi indietro”, ha spiegato, a causa di “investimenti e risorse insufficienti”.
Questo spesso accade perché, come ha spiegato Rino Rappuoli di Gsk Vaccines, “I vaccini vengono sviluppati per i Paesi avanzati, che poi li condividono con i Paesi meno sviluppati, condividendone quindi anche i benefici. Oggi, però, molti dei vaccini necessari ai Paesi meno ricchi riguardano malattie che nei Paesi industrializzati non esistono più. Per cui, eliminando il mercato, viene meno anche la ricerca”. “Di qui l’esigenza – ha concluso – di mobilitare il mondo per trovare soluzioni efficaci a questo problema, e mobilitare anche quei Paesi in via di sviluppo che ormai hanno le risorse per farlo”. Fondamentale, però, è anche la cooperazione fra Paesi. È responsabilità dei Paesi più avanzati accompagnare e sostenere i Paesi in difficoltà nel raggiungimento di un tasso di accesso alle cure più alto. “Le partnership fra Paesi sono destinate ad aumentare per un futuro migliore e più sostenibile”, ha convenuto l’Ambasciatore d’Australia a Roma, Greg French, rappresentante di un Paese che vanta uno dei sistemi sanitari – e di ricerca – più avanzati.
Spesso, però, si dimentica che i vaccini e la prevenzione hanno ricadute positive anche sull’economia. “I costi per curare una malattia sono sempre maggiori di quelli per prevenirla”, hanno convenuto con Salisbury tutti gli speaker. Dello stesso avviso Walter Ricciardi, nell’executive board al Who. “Abbiamo pochi investimenti in un settore che ne richiederebbe molti di più”, ha detto, auspicando che il “dibattito tra pubblico e privato si sviluppi ancora, anche in sede europea”. “Di vaccini non si parla mai abbastanza” ha aggiunto”. “Si parla sempre di farmaci curativi e mai di prevenzione, nonostante l’apporto al benessere sanitario garantito dai vaccini sia di molto superiore”. I vaccini, infatti, sono la prima fonte (insieme alle norme igieniche e all’acqua potabile) di allungamento della vita media delle popolazioni. Non a caso, i Paesi meno sviluppati, che ne hanno scarso accesso, sono quelli che mantengono una speranza di vita ancora relativamente bassa. “Il 97% della spesa globale sanitaria, infatti, è destinata infatti ai farmaci, mentre “solo il 3% è destinato ai vaccini”, ha confermato Rino Rappuoli. Bisogna, insomma, investire più in prevenzione, senz’altro la prima e più efficace cura per qualunque malattia.