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Ecco come leggere la dimensione strategica della Conferenza di Palermo

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Haftar, l’uomo forte della Cirenaica (e oggi, anche della Sirte) è arrivato a Roma il 28 ottobre scorso per una visita informale, ma che è stata estremamente utile per la conferenza di Palermo e per la futura strategia italiana in Libia. Il capo della vecchia “Operazione Dignità” sarà certamente anche a Palermo, mentre, probabilmente, i russi manderanno o Medvedev o il vice-ministro degli Esteri, Bogdanov. O anche Dimitri Peskov. Ma tutti avranno, comunque, le direttive personali di Putin a cui attenersi. E Putin seguirà con estrema attenzione il dibattito siciliano.

L’obiettivo, per i russi è quello di stabilizzare la loro presenza in Libia, qualunque sia il risultato politico di questa Conferenza palermitana; e di aprire quindi anche una relazione strategica anche con Al Serraj e la Settima Brigata di Misurata, oltre che con le più grandi tribù dell’area tripolina. Il che si può fare soprattutto con il sostegno dell’Italia. Nulla è più distante dagli interessi di Mosca di un rapporto esclusivo e bilaterale con Haftar, di cui pure i russi hanno stampato le nuove monete, con il profilo di Gheddafi. Ma Mosca potrebbe avere i buoni uffici dell’Italia per un rapporto con Al Serraj, le milizie di Misurata e, infine, le aree del Fezzan, dove la Russia potrebbe imporsi come partner economico di notevole rilievo. La Cirenaica di Haftar si sta così allontanando dalla Francia, i cui Servizi combattono ancora fianco a fianco con le milizie proprio di Haftar. Perché? Perché l’uomo forte della Cirenaica sa che, solo e unicamente attraverso Parigi, rimarrebbe isolato in Europa e, soprattutto, con l’Egitto.

Al Sisi ha infatti fatto pressioni su Haftar perché arrivasse a Palermo e non si fidasse completamente della Francia, che vuole solo i pozzi dell’Eni, come ai tempi di Sarkozy, e certo non sarebbe in futuro, con il governo della Cirenaica, ben disposto come appare oggi. Haftar ha poi dichiarato, altro segnale determinante per la chiusura positiva della Conferenza, che il nostro ambasciatore Perrone può tornare a Tripoli. Verrà nella capitale della Sicilia anche Aguila Saleh Issa, presidente del parlamento di Tobruk. Che riconosce il governo di Al Serraj ma si appoggia alle forze di Haftar. Un ottimo ed autorevole mediatore. Anche Saleh, già passato da Roma, è una possibile figura, e prestigiosa, sui cui può farsi un accordo per una futura unificazione del Paese. Il problema dell’unificazione se lo porranno Ahmed Maitig, il capo di Misurata, altra figura che potrebbe fare da leader di un nuovo progetto unitario, Khaled al Meshri e persino Khalifa Gwell, ormai sconfitto dalle truppe di Al Serraj (e dalla Settima Brigata di Misurata, nelle mani di Mitig) ma sempre utile, ovvero necessario, per arrivare ad una pace stabile in Libia. Sarà l’Italia che stabilirà, se ne è capace, una nuova gerarchia e le garanzie ai vari capi per un potere nazionale ma ampiamente regionalizzato, come era peraltro anche ai tempi di Gheddafi. Mitig è il numero 2 di Al Serraj, non dimentichiamolo. Gli Stati Uniti non hanno particolari interessi per il dossier libico, che è fuori dal loro quadrante africano, malgrado alcuni “consiglieri” Usa siano recentemente arrivati, in gran segreto, nella Sirte.

Ma gli americani sono fortemente interessati alla questione del terrorismo islamico, per cui favoriranno ogni soluzione credibile che stabilizzi la Libia e blocchi l’arrivo di jihadisti dall’Africa subsahariana verso l’Europa e, magari, verso gli stessi Stati Uniti. La Francia di Macron, che non si sa ancora se riuscirà a partecipare alla Conferenza di Palermo, è in evidente difficoltà. Anche per la malattia non-diplomatica di Macron. Se il meeting siciliano fallirà, l’unica sua carta sarà quella di stringere una più forte alleanza con Haftar e anche con la Russia, altrimenti Parigi avrà un ruolo sostanzialmente decorativo in Libia e nel Maghreb, con immaginabili ripercussioni sulla sua area della Françafrique subsahariana e centrale.

Peraltro, i Servizi francesi stanno operando da tempo, nel Fezzan, per far saltare gli accordi del 2017 firmati dalle varie tribù dell’area a Roma, con il sostegno dell’allora ministro degli Interni (ma anche, fortunatamente, degli Esteri) Marco Minniti. Sabotaggi, sostegno delle Forze Armate francesi al confine con il Niger, ma anche i sollevamenti di massa a Tripoli del settembre 2018, molto probabilmente innescati da operativi dei servizi francesi e da islamisti locali. Quindi, quanto più la platea della Conferenza sarà vasta, tanto più aumenteranno le chances di vittoria per l’Italia e, di conseguenza, la sconfitta della Francia che, probabilmente, isolata nello scacchiere interno libico, si prenderà le sue rivincite nell’area del Niger. Peraltro, occorrerà vedere quale sarà il ruolo di Saif al Islam Gheddafi, che vive ora in una località segreta libica vicina all’Egitto.

Ovviamente, il figlio più brillante del Raìs non sarà a Palermo, ma sarebbe utile fare anche questo tressette con il morto. Saif sarebbe ancora la carta di Haftar per dirigere il Paese unificato dopo la folle e stupida “primavera araba” fatta in casa da francesi e inglesi, più inetti ancora, nella politica estera africana, degli Usa. Politica estera statunitense che, solo grazie alla lotta al “terrorismo”, sta inondando l’Africa e i confini della Ue di droni, reti satellitari e basi militari per chiudere la stessa Ue, controllarne le evoluzioni ai suoi confini e trasformare la Federazione Russa in una media potenza regionale asiatica. Macron, peraltro, potrebbe anche ritagliarsi un ruolo nella stabilizzazione della Libia, se il progetto di Roma fallisse, creandosi un nuovo ruolo di mediatore proprio con Al Farraj e ricostruendo, forse a caro prezzo, una nuova relazione con Haftar, che ha fatto sapere ai russi la sua scontentezza nei riguardi di Parigi che, come al solito, crede di dettare l’agenda militare a coloro che aiuta. Ma Mosca potrebbe anche accettare il ruolo della Francia, se la conferenza siciliana fallisse. I russi vogliono solo il risultato. Ma non vogliono inimicarsi l’Italia, potenza petrolifera necessaria in Libia e futura destabilizzatrice della ormai fastidiosa UE, che si è messa in mezzo con l’Ucraina, le sanzioni e le tensioni di Bruxelles con i Paesi del vecchio Patto di Varsavia entrati in Europa.

Trump non ama affatto l’Europa, lo ha dimostrato ovunque, ma Putin, più riservato, potrebbe avere piene le tasche di una Unione che ripete, serva sciocca, la propaganda statunitense e che non è più così utile come partner commerciale. Ora è il momento dell’asse Mosca-Pechino, che garantisce la crescita economica russa, e questo asse passa dal Mediterraneo, non dalla penisola eursiatica. Bisogna pensare, quindi, anche al risultato degli incontri che il ministro degli Esteri francese, Jean-Yves Le Drian avrà a Parigi l’8 novembre prossimo. A questo incontro saranno presenti alcuni dirigenti di Misurata e della Settima Brigata, poi Abo Kassim Kozeit, membro dell’Alto Consiglio di Stato, i deputati Soleiman Elfaqih e Mohammed Erraid, i consiglieri (del Gna) Ali Bousseta e Ettaher Elbaour, i militari (di Haftar) Salha Juha e Mohammed Eddarat. Una preparazione del golpe o di un altro governo in esilio? Ecco perché Haftar è preoccupato. Una Palermo al freddo, quindi, questa Parigi, con le seconde e le terze linee dei vari partecipanti in Sicilia, per mettere comunque in azione le reti francesi in Libia sulle elezioni a breve termine, che magari potrebbero interessare alcuni dei partecipanti; e un “piano per la Libia” dei Servizi francesi che, occorrerà dirlo tra i corridoi di Palermo, non convincerà Al Serraj, che non vuole morire in un attacco al suo palazzo del governo.

Ma nemmeno convincerà Haftar, che ormai teme i suoi superbi alleati e guarda alla Russia e anche all’Italia per la fine di un conflitto che, comunque, non lo umili. Alle ultime elezioni libiche partecipò il 17% degli aventi diritto, non certo un numero tale da farle prendere sul serio da alcuno. Le elezioni a breve termine, tanto care alle operazioni coperte dei Servizi parigini (la famosa, ai vecchi tempi, “piscina”) creerebbero solo le condizioni di una nuova guerra fratricida, questo dobbiamo chiarirlo bene a tutti i partecipanti libici alla prossima conferenza di Palermo. La quale, per i nostri Servizi, è un punto di arrivo importante. Ci risulta che il Direttore dell’Aise Alberto Manenti, nato peraltro a Tarhouna, si giochi proprio a Palermo la riconferma, mentre anche Aisi e Dis sono anch’essi sotto fortissima pressione. Sarebbe bene anche sottolineare, ai nostri amici americani, come solo l’unità futura di Gna, forze di Haftar, governo di Tobruk e altri sia l’unica garanzia di lotta seria contro l’Isis.

Una repressione del jihadismo libico che non è affatto un obiettivo marginale, né per i libici che per gli europei, viste le rimanenti tensioni nella Sirte, la riorganizzazione dell’islamismo detto “radicale” nel Fezzan (che potrebbe anche venir bene alla Francia, che lo direzionerebbe verso Nord) e la penetrazione del califfato, alla fine, anche sulle linee della costa. Immaginiamo che il recente viaggio del ministro Salvini a Doha, capitale del Qatar, nume tutelare della Fratellanza Musulmana e sostenitore di Al Serraj, insieme alla Turchia, abbia creato una credibile pressione dell’Emirato nei confronti del governo di Accordo Nazionale verso una piattaforma, che ci dicono già circolante nel Governo italiano, sulla progressiva unificazione delle Forze Armate libiche.

Piattaforma che è anche il nuovo obiettivo, non sappiamo quanto credibile, dell’Egitto di Al Sisi, che è forze finalmente stufo di finanziare e addestrare l’esercito, costoso, di Haftar. Che comunque sta ancora dirigendo la propria offensiva su Derna, città-stato jihadista. Ma dobbiamo anche ricordare che, proprio il giorno prima dell’inizio della Conferenza di Palermo, Donald J. Trump e Vladimir Putin si incontreranno a Parigi per la futura revisione del Trattato Inf, quello recentemente ricusato dagli Usa, che riguarda i missili a medio raggio. Trump parla dei missili russi, ma intende di fatto quelli cinesi: se dovesse essere riformulato nel senso voluto dall’Amministrazione Usa, il nuovo Inf genererebbe la distruzione del 95% dei missili cinesi. E Washington tiene strategicamente la Cina solo dal Pacifico, dalla Corea del Sud, dalle basi in Giappone.

Quindi, è probabile che Macron voglia intestarsi, anche per i soli mass-media, un successo nella trattativa, ma è molto più probabile che l’eventuale accordo di Parigi sul nuovo trattato Inf sarebbe, in fine dei conti, solo un insieme di belle parole. Ma conterebbe, comunque, per oscurare la conferenza siciliana e mettere ai margini il Governo italiano e la sua immagine verso i libici e gli alleati. Non sappiamo, a tutt’oggi, cosa dirà Angela Merkel, che sarà a Palermo in rappresentanza di un Paese che non ha partecipato, se non con una piccola brigata di guerra elettronica, alla lotta occidentale a sostegno dei jihadisti della Cirenaica che portò alla fine del regime gheddafiano. Anch’essa si ritaglierà, con ogni evidenza, un ruolo di mediatrice, ma politicamente indebolita all’interno e senza una chiara direttrice strategica in Africa, il che la porterebbe però a sostenere, in mancanza di meglio, le ipotesi francesi.

Ma siamo sicuri che Macron, così retoricamente europeista, voglia trattare con un alleato tedesco che si è già inimicato sui conti pubblici e la massa infinita degli inamovibili dipendenti statali; e che non vuole in nessun caso invischiarsi in Africa, con delle Forze Armate tedesche allo sfascio e l’obiettivo primo fisso in testa, che rimane l’Est eurasiatico? Certo, la Francia ha invitato le seconde e terze file dei due gruppi maggiori libici, che fanno capo a Al Serraj e Haftar, per imitare la strategia dell’inclusione che ha caratterizzato la preparazione italiana della conferenza di Palermo, a Villa Igea. Peraltro, tredici piccoli gruppi invitati da Macron hanno già disertato l’incontro parigino. Infatti il governo Conte ha mosso tutti i partecipanti, anche quelli apparentemente minori, del gioco libico. Khalifa Haftar, anche per indebolire Al Serraj, vorrebbe avere, e forse ha già, un buon rapporto con le milizie di Misurata che, con le altre 250 milizie autonome, forma la insicura e costosa (anche per altri) base militare del governo di Al Serraj. Ahmed Mitig, lo abbiamo già visto, è l’uomo forte di Misurata e il numero 2 di Al Serraj.

Mitig era anche stato l’anno scorso in Sicilia, ad Agrigento, per il primo Forum italo-libico. E intanto si preparava la Conferenza. A Palermo verrà anche Khaled Meshri, presidente del consiglio di Stato libico, altro che il numero 3 che, forse, abbandonerà, su precisi ordini, il quasi-summit di Parigi sulla Libia e le sue fantomatiche “elezioni”. Naturalmente a Palermo ci sarà Aguila Saleh Issa, abbiamo già visto, presidente del parlamento del Gna ma in ottimi rapporti con il Parlamento di Tobruk. È certo una figura determinante nell’attuale e nel futuro assetto della Libia. Peraltro, ci sono già infiltrazioni jihadiste anche a Tripoli, e Ghassan Salamè, ha accusato pubblicamente al Serraj di debolezza. Al Serraj non è quindi più così in sella al governo tripolino come era un anno fa, e Haftar non manca di far sapere che vuole ancora arrivare a Tripoli. Garantire Al Serraj in un ruolo onorevole, far sapere a Haftar che ora può stabilizzare le sue conquiste, ma deve avere anche l’aiuto delle forze tripoline, misuratine e anche di tante tribù del Fezzan, con cui i Servizi italiani non hanno mai abbandonato i contatti, far capire anche al vecchio capo della “Operazione Dignità” che è inutile avere lo scalpo dei suoi nemici a Tripoli, una durezza che genererà altre guerre tribali.

Poi, un dato determinante: le finanze. Alcuni cespiti di Gheddafi nella Lia (Libyan Investment Authority) e nelle altre società di investimento collegate non stati ancora requisiti dall’Onu, che si era dimenticata di rendere obbligatoria, per i governi, la requisizione bancaria. La divisione della Lia tra la Libia e Malta è inefficace e ha portato alcune operazioni finanziarie libiche a sfiorare ambienti molto pericolosi. Haftar ha controllato i pozzi della Mezzaluna Petrolifera ma ha consentito, alla fine, ad un accordo ragionevole sulle finanze derivanti dalla vendita del petrolio. I soldi accumulati, o i rendimenti degli investimenti, peraltro oggi scarsi, dei fondi del regime gheddafiano in Ue e all’estero devono ritornare nella nuova Libia. Tutti.

Per questo, si potrebbe organizzare, a partire da Palermo, una Organizzazione per la Autonomia Finanziaria di tutta la Libia, che dovrebbe stabilire, per la prossima riunificazione dell’area, una equa e anche stabile ripartizione dei redditi tra le zone, una rappresentanza allargata tra le tribù e i governi locali e la tutela della Ue, con la delega all’Italia, che già controlla, nel pieno rispetto di tutti, i cespiti risultanti dal petrolio, con l’Eni.



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