È sempre bello, incontestabile, politicamente corretto e, soprattutto, estremamente semplice fare proclami e professioni di fede a favore dell’unità d’Europa in occasione delle grandi ricorrenze. È quello che è accaduto domenica scorsa quando, a Parigi, circa settanta leader mondiali hanno commemorato il centenario della conclusione della Prima guerra mondiale con una imponente cerimonia che si è svolta nei pressi dell’Arco di Trionfo. Erano tutti presenti. Da Donald Trump a Vladimir Putin passando per la cancelliera tedesca, Angela Merkel e, ovviamente il “padrone di casa”, il Presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, che ha tenuto il discorso commemorativo.
Anche l’Italia c’era con il suo Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. L’occasione potrebbe essere utile per riprendere a interrogarsi sul reale stato dell’integrazione europea. Quale è, infatti, oggi, il “tasso di unità europea”? Intendendo per unità non soltanto quella monetaria – realizzata con tanti sacrifici e sulla quale molto si può e si dovrebbe dire – ma anche e, soprattutto, quella politica, economica, finanziaria e militare? Una volta condannati “populismi” e “nazionalismi”, ci si interroga su cosa e sul perché questi si sono generati e si stanno diffondono così rapidamente?
La firma della Costituzione europea del 2004 fu preceduta da un lungo e lacerante dibattito sulla redazione del preambolo introduttivo che ha visto confrontarsi e contrapporsi due tesi. Da una parte chi pensava che bastasse far riferimento a un generico richiamo alle “eredità culturali, religiose e umanistiche” menzionando le radici greco-romane e il loro collegamento con le istanze filosofiche dell’illuminismo e dall’altro chi, invece, richiedeva un più preciso, saldo ed esplicito ancoraggio alle “radici cristiane” o “cristiano-giudaico” dell’Europa stessa. Si scatenarono feroci polemiche tra intellettuali e studiosi, tra politici e teologi, tra istituzioni religiose e civili. Che ne è oggi di quella discussione?
I problemi di coesione, organizzazione politica ed economica non solo non sono stati risolti ma, al contrario, risultano più profondi e preoccupanti. Elementi fondamentali, come l’ordinamento giuridico, una comune politica estera, un unico esercito sono lungi dall’essere acquisiti. Per non parlare di quelli più propriamente culturali. I processi formativi, scuola e università, ad esempio, non prevedono percorsi e programmi comuni e condivisi e i titoli di studio non hanno alcun riconoscimento comune. Come è pensabile che, mancando tutto questo, i cittadini dei singoli Paesi possano sentirsi cittadini europei? Da dove dovrebbe giungere loro la consapevolezza che la formazione alla cittadinanza europea è più importante dell’unificazione economica e finanziaria?
Le diverse e recenti crisi dell’euro, peraltro non adottate nemmeno da tutti gli stati membri, prevalgono ancora una volta su qualsiasi altra discussione. La stessa scelta dei cittadini del Regno Unito di uscire dall’Unione europea è diventato esclusivamente un problema economico e di carattere regolamentare e burocratico finalizzato, più che altro, a trovare le procedure per realizzare l’uscita in maniera indolore. Ma ci si è interrogati sui motivi che hanno spinto la maggioranza dei “sudditi di sua maestà la Regina” a chiedere di abbandonare un progetto che avrebbe dovuto garantire al Vecchio Continente una futuro di pace, crescita economica e benessere dopo secoli di devastanti conflitti? In occasione delle celebrazioni della Grande Guerra, il ministro delle finanze francese, Bruno Le Maire, in un’intervista che in Italia non è arrivata, ha provato a porre il problema indicando la piena disponibilità di Parigi – e lamentando la riluttanza di Berlino – per riprendere, con coraggio, la costruzione di quello che ha definito “un impero pacifico”, unico modo affinché l’Europa non venga schiacciata da Cina e Stati Uniti.
Il prossimo anno ricorrerà l’ottantesimo anniversario dello scoppio della Seconda guerra mondiale. Certamente già saranno in corso di preparazione le solenni cerimonie commemorative. Certamente non mancherà la retorica sulla necessità dell’Unione europea perché: “mai più la guerra”. Nel frattempo, oltre a difendere la stabilità dell’euro, temiamo che, alcun passo in avanti verrà avanzato verso una reale unità che, per essere tale, dovrà, prima di tutto, essere culturale e, quindi, ripartire dalle sue origini, dalle sue radici.