“Faremo in modo che il processo del 5G e quindi dello sviluppo di questa tecnologia possa essere favorito in tempi celeri”. È la solenne promessa del vicepremier e ministro dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio dal palco del WOW Samsung Business Summit a Milano, dove è intervenuto per svelare i piani del governo sulla banda larga. “Ci potrà essere un nuovo boom se investiremo nelle autostrade del futuro: il 5G e la banda ultralarga” ha continuato il ministro. Ad ascoltarlo in platea Davide Casaleggio, invitato dall’azienda di Seul, non senza suscitare qualche protesta, a discutere di intelligenza artificiale, digital transformation, blockchain. Quest’ultima è stata ancora una volta protagonista assoluta nel discorso di Di Maio sul palco, che già ad ottobre aveva potuto confrontarsi sul tema con i colleghi europei alla European Blockchain Partnership di Bruxelles. “L’Italia è la patria non solo delle imprese ma anche dell’innovazione: la blockchain entrerà nell’ordinamento dello Stato grazie al suo riconoscimento legale” ha spiegato il leader pentastellato. Regolamentare la blockchain, ha detto il ministro, è il primo passo per difendere “il Made in Italy, a partire per esempio dall’agroalimentare, per combattere la contraffazione”.
Quanto alla banda larga, dal Samsung Business Summit il vicepremier ha voluto ancora una volta esprimere soddisfazione per la partecipazione oltre ogni previsione delle telco italiane e internazionali nell’asta 5G. “L’asta del 5G è partita da una base di 2 miliardi ed è arrivata a 6,5 miliardi di euro”. Già in occasione di un altro summit, quello di Huawei ospitato dalla Camera dei Deputati a Roma ad ottobre, Di Maio si era complimentato con le aziende di settore per la corsa alla banda larga, “sono soldi ben spesi”. Non sono di questo avviso gli americani, che proprio oggi, mentre Di Maio veniva accolto e coccolato dalla coreana Samsung, hanno messo in guardia gli alleati (dunque anche Roma) dall’accesso di aziende cinesi alla gestione delle reti strategiche nazionali. È il Wall Street Journal a riportare di un incontro fra funzionari americani, tedeschi, giapponesi, italiani in cui gli emissari dell’amministrazione Usa avrebbero chiesto ai colleghi di tenere alla larga i cinesi dalle reti, e in particolare il colosso di Shenzen Huawei e Zte, già bandite dalla gara per il 5G in Australia, Regno Unito e Stati Uniti. Il governo italiano sembra il più refrattario a dare ascolto ai moniti degli alleati, confermati di recente da un’esperta del Pentagono a Formiche.net, anche perché i giochi sono già fatti. Huawei, ricorda Emanuele Rossi su queste colonne, rappresenta il 20% delle telco in Italia. E per di più proprio oggi ha siglato un accordo con efficacia immediata assieme a Cellularline per la distribuzione in Italia dei suoi accessori per smartphone e tablet. Le stesse apparecchiature che in un’audizione al Comitato per l’Intelligence del Senato il direttore dell’Fbi Chris Wray lo scorso febbraio aveva bollato come pericolose quando provenienti da aziende cinesi come Huawei e Zte, troppo vicine al Partito comunista per esser ritenute sicure: “Siamo profondamente preoccupati del rischio di permettere a un’azienda controllata da governi stranieri, che non condividono i nostri valori, di ottenere leve di potere all’interno del settore delle telecomunicazioni”, era il monito del n.1 degli 007 statunitensi.
Se il governo americano è pronto a creare un cordone sanitario intorno agli alleati pur di evitare la penetrazione delle aziende del Dragone nelle infrastrutture critiche, a costo di stanziare appositi fondi per compensare le perdite di mercato, fra gli addetti ai lavori c’è chi ritiene opportuno escludere dalla rete del 5G tutte le aziende legate a un governo straniero, senza distinzioni. “Le reti strategiche non possono essere gestite da aziende straniere” ci spiega Arturo Di Corinto, esperto di Cyber e giornalista de L’Espresso e di Repubblica, “basta che un software, un router, un cavo siano gestiti da un altro Paese e non puoi più dirti sovrano. Ci sono degli elementi cruciali delle tecnologie che usiamo in Italia che devono essere certificati dagli organismi di valutazione pensati dalla Direttiva Gentiloni e dal Quadro Nazionale Operativo” aggiunge l’esperto. Vale per le compagnie cinesi come anche per quelle russe, che in Italia ad esempio hanno una posizione dominante di mercato nel settore degli antivirus: “Ho molta stima di Kaspersky, lavorano con grande serietà, ma la domanda rimane: il giorno in cui il governo russo chiederà, ad esempio, i dati dei Carabinieri, potranno davvero rifiutarsi di consegnarli?”. Sono sfide che chiameranno presto in causa Gennaro Vecchione e Luciano Carta, i due generali della Guardia di Finanza nominati mercoledì dal Cisr (Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica) rispettivamente nuovi direttori del Dis e dell’Aise. Nel frattempo il Copasir, riferisce Agi, si appresta a condurre un’indagine conoscitiva, e a produrre una relazione per il Parlamento, sul tema della cybersicurezza per capire quanto profonda sia la penetrazione dei governi stranieri nelle maglie delle infrastrutture strategiche italiane.