Al di là degli esiti, prevedibilmente esigui, la conferenza di pace di Palermo andava comunque fatta per metterci il cappello. Nel nuovo grande gioco tra nord e sud del mondo, le ambizioni italiane sul Mediterraneo sono il minimo sindacale. La Libia ne è, ovviamente, un tassello fondamentale. Ma la strategia geopolitica non può fermarsi a Tripoli (o Tobruk). Già da luglio, nel disinteresse, Roma accoglie la sede permanente del segretariato dell’Assemblea mediterranea (Euromed). Il Parlamento europeo intende promuovere una serie di iniziative per rilanciare il dialogo sul Mediterraneo. Le condizioni dunque sono estremamente favorevoli. Per l’Italia, la leadership dell’area Med non è (o meglio non deve essere) soltanto un fatto politico. Il Paese ha bisogno di una strategia a tutto campo. Il dialogo fra i Paesi delle sponde nord e sud del Mediterraneo è funzionale, se non indispensabile, a risolvere le grandi sfide al futuro dell’Italia: immigrazione, sicurezza, crescita economica.
Al momento, esiste una evidente incongruenza tra problemi, soluzioni, mezzi e fini, non in linea con la collocazione internazionale dell’Italia. Mentre il mondo cambia, Roma fatica ad aggiornare la sua identità. Ma per farlo, serve mettere mano alla bottega delle idee.
Secondo Bepi Pezzulli, presidente di Select Milano, “i tempi sono perfetti per aprire il dossier finanza islamica. Bisogna mettere l’Italia nelle condizioni di affermarsi quale hub economico dell’area Med e la leva finanziaria spunta tutte le caselle. Le stelle e i pianeti sembrano allineati in favore dell’Italia”. L’affermazione riflette quanto già sostenuto dall’avvocato d’affari in “L’altra Brexit”, un saggio in economia e geopolitica sulla Brexit, che avevamo analizzato su queste colonne.
È innegabile che esista al momento una chiara convergenza di fattori per mettere mano al dossier finanza islamica. Con la Brexit, l’Uk ha mostrato la strategicità dei rapporti finanziari con il Pacifico e il Medio Oriente; l’amministrazione Trump sostiene il ruolo dell’Italia in Libia; e la Borsa di Londra (che possiede la Borsa di Milano) ha sviluppato expertise nel segmento finanza islamica di cui si può beneficiare grazie alle eccellenti relazioni bilaterali anglo-italiane. Proprio l’Uk mostra l’importanza della finanza islamica.
Essa, dovendo essere conforme al Corano, segue tre precetti: il primo, occorre devolvere parte dei propri guadagni in carità (zakāt); il secondo, non si possono ottenere interessi (ribā) sui prestiti; il terzo, bisogna effettuare investimenti socialmente responsabili (halal) e non rischiosi (gharār). Il Corano inoltre proibisce la speculazione (maysir). Di conseguenza, i prodotti finanziari Sharia-compliant costituiscono delle forme di co-investimento in beni reali fruttiferi e, in ultima analisi, sono investimenti nell’economia reale.
Spiega Pezzulli: “La finanza islamica non è solo un fatto politico o religioso. A seguito della crisi finanziaria, le banche e gli investitori internazionali diversificano attivamente i portafogli, cercando esposizione a prodotti d’investimento alternativi non correlati con mercati tradizionali. La finanza islamica ha avuto performance migliori di quella convenzionale, e, inoltre, è coerente con gli stringenti requisiti di capitale imposti dal Financial Stability Board a seguito della crisi finanziaria”.
Ma c’è di più. Poiché gli investimenti islamici privilegiano forme di finanziamento garantite da attivi reali e implicano la condivisione del rischio, essi offrono fonti di finanziamento alternative alle Pmi, ma soprattutto alle infrastrutture pubbliche. Ad esempio, lo Shard, il grattacielo di Renzo Piano sul Tamigi e il Villaggio Olimpico di Londra sono progetti di finanza Sharia-compliant.
Secondo i dati di Select Milano, in Italia, gli immigrati musulmani posseggono attivi per circa 7 miliardi di euro ma il sistema bancario non offre alcun prodotto dedicato a questo mercato, mentre a Londra, 8 banche specializzate hanno sviluppato un’offerta che include conti correnti, prestiti personali, mutui, carte di credito e servizi di pagamento Sharia-compliant. In un Paese che ha un evidente bisogno di trasformare l’immigrazione da problema a risorsa, la lezione inglese può essere preziosa.
Una proposta di legge già esiste. È stata depositata nella XVII Legislatura con primo firmatario Maurizio Bernardo per disciplinare il trattamento fiscale delle operazioni di finanza islamica. Allo Stato, il diritto italiano assoggetterebbe tali operazioni a doppia imposizione, rendendole poco competitive. Di conseguenza, le istituzioni finanziarie, che pure ne avrebbero interesse, non possono stabilire fabbriche di prodotto in Italia. La proposta di legge Bernardo propone la regolamentazione di murabaha (l’equivalente di un mutuo); ijarah (una ampia forma di leasing) e istisna’a (l’equivalente di un finanziamento all’impresa) attraverso la modifica di alcune norme del Tuir, che aprirebbero la strada anche allo sviluppo di un mercato dei sukuk (i bonds islamici). Nel 2014, l’Uk è stato il primo Stato occidentale ad emettere un sukuk sovrano. Una emissione di sukuk da parte della Repubblica italiana in un momento in cui l’incremento dello spread ne aumenta il cost of funding sarebbe altamente desiderabile. Il mercato è ragguardevole e liquido: nel 2017, la Borsa di Londra ha ammesso al listino sukuk per 57 miliardi di dollari.
Con il trasferimento a Milano di parte dell’eurodebito negoziato sull’Mts, il capoluogo lombardo si connota sempre più come un centro di expertise per l’emissione e il trading di obbligazioni. Con i sukuk esistono sinergie evidenti che consentirebbero a Milano di delineare una vocazione netta di hub regionale per il sud Europa e l’area Med. Quanto di meglio si possa volere per un Paese al centro di una nuova frontiera.