Il modernismo, veicolato dalle società segrete dalla fine del Settecento agli inizi del secolo scorso, è il “vizio d’origine” della decadenza, ormai evidente, della Chiesa cattolica. Tutte le “criticità” che stanno emergendo con drammatica sequenza temporale, al punto da non lasciare respiro a molti credenti, sono riconducibili a una fase storica culminata nell’Ottocento e diramatasi nel primo decennio del Novecento la cui ideologia di sostegno è stata il relativismo.
L’indagine sulle origini, lo svolgimento e l’affermazione di questa vera e propria sciagura abbattutasi sul cattolicesimo è stata approfondita e vasta, come è noto, ma le conseguenze dei risultati del modernismo non sono stati minimamente scalfiti o arginati, nonostante un sempre più imponente movimento di fedeli accompagnato da intellettuali e prelati “immunizzati” dalla tabe dello scetticismo e, sostanzialmente, dall’apostasia, si sia impegnato nel tentativo di una “restauratio” i cui esiti, nonostante tutto sembri congiurare verso un peggioramento, autorizzano la fiducia di chi alla “Chiesa di sempre” non intende rinunciare.
È con questo spirito che abbiamo letto, traendone godimento spirituale ed anche letterario, l’ultimo libro di Roberto de Mattei, intellettuale cattolico tra i più noti e prestigiosi in Europa, che da tempo immemorabile, soprattutto come presidente della Fondazione Lepanto, direttore di “Radici cristiane” e dell’agenzia di informazioni “Corrispondenza romana”, dedica il suo apostolato a quella che un tempo veniva definita la “buona battaglia”.
La sua opera più recente, Trilogia romana (Solfanelli editore, pp.158, € 12), si distacca dai lavori abituali di de Mattei, di chiara impronta saggistica – ne ricordiamo due per tutti: la scintillante biografia di Plinio Corrêa de Oliveira e Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta , edita da Lindau, che ottenne il prestigioso premio Acqui Storia nel 2013 – per approcciare il grande tema del modernismo, appunto, e della funzione delle società segrete nell’opera di demolizione della Chiesa, con piglio spiccatamente letterario: ha messo in forma di racconti, tutt’altro che fantasiosi benché attraversati da una narrazione accattivante ricca di aneddoti, dettagli, colloqui e luoghi partoriti dall’autore, vicende storiche dimenticate, che offrono spazi di riflessione per comprendere quanto è accaduto e sta accadendo Oltretevere.
Con rara eleganza e spirito di finezza, ereditati dal padre, il grande storico delle dottrine politiche Rodolfo de Mattei che si dilettava pure di letteratura lasciandoci splendide pagine soprattutto di “spigolature” romane, Roberto de Mattei rievoca nel primo racconto due grandi personalità del XIX secolo: il cardinale Giuseppe Mezzofanti, difensore della Chiesa contro tutti gli attacchi che all’epoca venivano portati dal laicismo fino a costringere nella “ridotta” vaticana il Papa e la Curia, e lo storico francese Jacques Crétineau-Joly. Il colloquio tra i due personaggi è suggestivo, evocativo e commovente. Dall’affresco storico che viene fuori si capisce il senso di una tragedia nascente, ma anche si coglie il filo di speranza che anima il porporato ed il suo interlocutore: la prefigurazione della conversione del mondo che in qualsiasi momento può levarsi dalle tenebre che lo avvolgono. Nell’Ottocento questa idea non era peregrina. Ma oggi?
Il secondo racconto della Trilogia è un omaggio doveroso e sentito, benché arricchito da ritratti ed atmosfere d’epoca, della principessa Maria Cristina Giustiniani Bandini che fu presidente dell’Unione delle Donne Cattoliche d’Italia dal 1909 al 1918. Ella ispirò la vita cristianamente esemplare e virtuosa della nipote donna Maria Sofia Giustiniani Bandini, ultima erede di quella dinastia principesca, morta nel 1977 in concetto di santità. In questo quadro figurano monsignor Umberto Benigni, sottosegretario agli Affari ecclesiastici straordinari sotto il Pontificato di Pio X e direttore di “Corrispondenza romana”, pubblicazione alle dirette dipende del Papa con la missione di contrastare apertamente il modernismo; don Ernesto Buonaiuti, figura controversa che ha avuto un ruolo di primo piano nell’affermazione dell’eresia modernista; il sulfureo principe Leone Caetani, rampollo di una delle più prestigiose ed antiche famiglie romane. Tra questi protagonisti si dipana un “rapporto” a distanza che ci permette di comprendere la reazione all’infiltrazione della sovversione sostenuta da ambienti (significativo il ruolo di Caetani) che tradirono il papato influenzati dalle idee illuministiche e soggiogati da una propensione all’esotismo intellettuale, oltre che ad interessi politici e finanziari molto concreti: il risultato fu la “devozione” al “fumo di Satana”. La figura più tragica è quella di Buonaiuti cui fa da pendant la ben più inquietante personalità di Caetani, punta di lancia della massoneria romana e continentale: dopo la sua morte, la figlia pittrice, Sveva Caetani, volle evocare un suo immaginario viaggio all’inferno guidata dal padre. C’è la sintesi perfetta, in questo particolare rivelato da de Mattei, dell’universo demoniaco nel quale trovarono ricette le forze anti-cattoliche.
Il terzo racconto, intitolato “Una principessa racconta” è incentrato sui ricordi della già menzionata donna Maria Cristina dei principi Giustiniani Bandini. Siamo già negli anni Cinquanta, regnante Pio XII. Pierre Engel, un alsaziano residente a Ginevra, si reca a farle visita. Vuol sapere tutto della sua esperienza di “attivista” cattolica al servizio della fede contro la superstizione modernista. I ricordi dell’anziana principessa che aveva accesso alla Curia pontificia e aveva goduto della stima di quattro Pontefici, sono una miniera alla quale attingere per comprendere ciò che è accaduto. Il congedo fu toccante: “Non sono gli uomini – disse la principessa -, ma è la Grazia che converte. È questa grazia che io vorrei abbondasse sulla nostra città”.
La principessa Maria Cristina Giustiniani Bandini è una personalità oggi ignorata a cui de Mattei ha voluto rendere omaggio. Le fonti sono soprattutto le carte e i ricordi personali della nobildonna, conservati nell’Archivio della Casa Generalizia dei Domenicani a Santa Sabina a Roma.
Il messaggio di questa toccante ed intrigante Trilogia non è difficile da cogliere. È un “appello”, ancorché formulato in maniera inusuale, al cuore ed alle menti di chi oggi vive con trepidazione il destino verso cui sembra incamminata la Chiesa di Roma. La tentazione di dilapidare il patrimonio storico e religioso di due millenni cristiani si è affacciato in tempi non sospetti. Eppure c’è stato chi si è opposto e la sua azione è arrivata fino a noi, come un foglio ingiallito in una bottiglia vagante tra i flutti. De Mattei l’ha raccolta, con lo spirito del militante che ha deciso di non sottrarsi alla vocazione che ha seguito fin da giovanissimo, l’ha aperta e ce l’ha raccontata alla sua maniera: con l’efficacia e la levità di un narratore, ma anche dello studioso integerrimo, fedele alla verità, che ha messo il suo ingegno al servizio della storia.
La lettura di Trilogia romana mi ha fatto venire in mente il romanzo di Brian Moore, Cattolici che Lindau ha riproposto (pp.95, €12). Lo scrittore ci porta su una piccola isola al largo della costa irlandese dove una comunità monastica dell’Ordine albanesiano, conserva la “fede dei padri”, osservando le regole millenarie e continuando a celebrare la Messa secondo il rito tridentino. In una Chiesa smarrita, attira fedeli, diventa un “caso” internazionale, radio e televisioni raggiungono il monastero per capire. Diventa un luogo di “culto” mediatico. Il monastero suscita le perplessità e poi la riprovazione delle gerarchie post-conciliari. L’Ordine, con il suo padre generale, si ribella, invia un “inquisitore” che da un lato si lascia sedurre, sia pure lievemente, dal mondo che i monaci hanno preservato; dall’altro non può che sollecitare la fine di quelle pratiche scontrandosi con la comunità, ma nello stesso tempo favorendo la spoliazione dei dubbi del Padre Abate sulla sua stessa fede. Le vicende e l’epilogo sono rocambolesche. Mistero e suspence s’intrecciano, ma ciò che è palese non può essere nascosto: l’incerto abate china la testa ed i monaci con lui davanti all’altare. La forza della preghiera vince su tutto. Le parole del Padre Nostro riecheggiano nella navata e nei loro cuori. Avrebbero anche vinto i burocrati della fede, ma questa rimaneva integra in chi ad essa si era votato.
Una lezione per i cristiani in un mondo post-cristiano? Potrebbe essere. E ci è d’aiuto a comprenderlo il magnifico libro di Rod Dreher, L’opzione Benedetto (San Paolo, pp.350, € 25), nel quale lo scrittore americano che avanza l’ipotesi secondo la quale in questo modo, per tanti versi simile a quello che vide la fine dell’Impero Romano con l’arrivo dei barbari, l’esempio di San Benedetto da Norcia, che abbandonò Roma per conservare la propria innocenza davanti alla corruzione ed alla dissolutezza dei costumi, sarebbe da seguire, sia pure in altre forme. “Leggete questo libro – ha osservato Dreher – e imparate dalle persone che incontrerete, e lasciatevi ispirare dalla testimonianza della vita dei monaci. Lasciate che vi parlino tutte al cuore e alla mente, poi attivatevi localmente per rafforzare voi stessi, la vostra famiglia, la vostra Chiesa, la vostra scuola, la vostra comunità”.
Un programma tutt’altro che utopistico. Basta non ascoltare gli incantatori di serpenti, come fecero, oltre un secolo fa i protagonisti della Trilogia di Roberto de Mattei il cui “conservatorismo cristiano” mi pare che sostenga nei fatti, con azioni concrete, lo spirito dei monaci di Muck richiamati da Moore e l’ambizione “riformatrice”, nello spirito benedettino, avanzata da Dreher. Per i cattolici c’è un avvenire.