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Perché l’Europa è in debito con Antonio Megalizzi

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Lui lo aveva visto, noi non abbiamo visto lui. Lui si era accorto che l’Europa nella quale viviamo è la migliore che sia mai esistita, noi non ci siamo accorti dei giovani come lui, finendo con il parlare solo di brutti sentimenti, latrati di rabbia, persone che sputano nel piatto in cui mangiano. Abbiamo un debito, con Antonio.

I nostri genitori hanno visto l’Europa peggiore. La guerra, l’odio razziale, la fame. Noi siamo nati in un’Europa divisa, un posto dove Jan Palach poteva morire inascoltato, dove si portavano all’est le calze di nylon per accedere a ragazze che non le avevano, dove il delirio ideologico ancora seminava morte e miseria. Tutto questo è finito, nel 1989. L’Unione europea realizzata successivamente non è la migliore Europa possibile e pensabile, ma è certamente la migliore mai esistita. Per migliorarla ancora occorre difenderla, non offenderla per alimentare propagande nazionaliste dementi e demolenti.

Antonio Megalizzi lo aveva visto, anche costruendo Europhonica, web radio, assieme ad altri come lui. Noi non abbiamo visto lui, continuando ad occuparci della piagnucolosa rivendicazione di adulti rimasti minori. Tanta attenzione per chiunque abbia qualche cosa da pretendere, nessuna per questi giovani europei, che hanno vite da costruire. Grande afflato per chi vuole ritirarsi, trascuratezza per chi vuole avanzare. E non si dica che così funzionano le democrazie, ove conta il mercato del consenso, perché così avvizziscono società senza classe dirigente, perché senza collettivo senso di responsabilità.

Abbiamo un debito, enorme, con Antonio e i suoi amici e colleghi. Con i giovani europei che vogliono essere tali. Ad Antonio e, purtroppo, a tanti altri, quasi sempre bersagli giovani, dobbiamo anche un’altra cosa: questa strategia stracciona di investire o sparare a chi non pensa neppure di doversi difendere miete vite, ma non otterrà nulla. Possono ucciderci, i terroristi islamici, ma non ci cambieranno. Siamo più forti, se solo non dimentichiamo quanto vale quel che viviamo.


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