Il clima di divisione tra Repubblicani e Democratici americani, che da oltre venti giorni non riescono a trovare un punto di contatto per chiudere lo shutdown che blocca l’apparato federale, è stato avvelenato da un paio di notizie uscite negli ultimi giorni.
Entrambe riguardano il Russiagate, l’inchiesta interna che il dipartimento di Giustizia sta conducendo attraverso il procuratore speciale Robert Mueller, che cerca di far luce sulle interferenze russe durante le presidenziali del 2016, e sulle possibili collusioni del team repubblicano con la Russia, e su eventuali ostacoli al corso dell’inchiesta creati dal presidente Donald Trump.
Secondo il New York Times, l’Fbi un anno fa avrebbe avviato un’inchiesta di controspionaggio per comprendere se Trump avesse licenziato l’ex direttore del Bureau, James Comey, perché stava spingendo troppo l’indagine sulla Russia. La notizia è piuttosto pesante, l’indagine inusuale. Trump s’è scagliato prima contro il giornale e poi contro i Federali, li ha accusati di politicizzare l’agenzia e di lavorare contro di lui.
Quella della Casa Bianca è una retorica molto utile, perché richiama certe dichiarazioni di Trump su un fantomatico “Deep State” che sta minando la sua presidenza; allargando l’ottica, ha un valore anche riguardo al Muro, l’opera al confine col Messico che è il punto di stallo dello shutdown, per cui il presidente vorrebbe fondi che i democratici non vogliono concedere. È il sistema, dice lo Studio Ovale: stanno lavorando contro di me, contro di noi e contro di voi, vedete quello che ha fatto l’Fbi, è la linea offensivo-passiva del Prez. È “assolutamente ridicolo” accusare il presidente di essere una minaccia per la sicurezza nazionale, ha detto in un’intervista televisiva a “Face The Nation” della Cbs il segretario di Stato, Mike Pompeo.
In realtà l’inchiesta dell’Fbi, partita a quanto pare nel maggio del 2017, potrebbe essere legittimata dei memo di Comey, quelli che raccontano le conversazioni burrascose avute col presidente proprio a proposito dell’indagine sui russi, e dalle continue dichiarazioni del presidente contro l’inchiesta di Mueller. E i democratici la usano come carburante per spingere le proprie posizioni: c’è l’evocazione dell’impeachment per tradimento della patria e collusioni con Mosca in ballo. Fantapolitica, ma utile propaganda anti-Trump.
E su questo campo arriva la seconda delle notizie. Il Washington Post ha ottenuto informazioni su come Trump ha voluto gestire i suoi incontri con il russo Vladimir Putin. Secondo quanto dicono diverse fonti dell’amministrazione, il presidente americano avrebbe ripetutamente cercato il modo di eliminare ogni prova delle conversazioni riservate avute col russo. Per esempio, dopo un incontro ad Amburgo – era il 7 luglio del 2017, il meeting era stato organizzato a latere del G-20 – Trump avrebbe preso gli appunti del suo interprete e gli avrebbe intimato di non parlare con nessuno di quello che era stato detto, compreso con gli altri membri dell’amministrazione.
“È un modello (di comportamento) ampio”, scrive il WaPo. Gli interpreti sono stati spesso gli unici presenti nei cinque faccia a faccia che i due leader hanno avuto negli ultimi due anni, riservatissimi secondo richiesta di Trump. Altro esempio, quello dell’estate scorsa a Helsinki, nel cui caso critiche del genere erano già state sollevate dai democratici al Congresso. Risultato: al momento il governo americano non avrebbe a disposizione documenti, nemmeno tra quelli top secret, che verbalizzano gli incontri del presidente con l’omologo alla guida di una delle due nazioni identificate come “potenze rivali” dal manifesto strategico per la sicurezza nazionale redatto dall’amministrazione Trump stessa. All’opposto, Putin ha fatto tutte le volte circolare le foto dei briefing tenuti con i suoi uomini. Strategia comunicativa provocatoria, che cerca di esacerbare le divisioni interne agli Usa.
I Democratici, sull’onda della fase politica che stanno conducendo col megafono a tutto volume dopo aver vinto la Camera alle Midterms, gridano allo scandalo. Situazione “inquietante” e senza precedenti, dicono, soprattutto se inserita nel quadro delicato che accompagna Trump e la Russia. I Repubblicani cercano di difendere il presidente, sostengono che la riservatezza estrema degli incontri era legata a necessità operative del presidente, artista del deal, in grado di lavorare meglio se lasciato solo e senza assistenti.
Eliot Engel, il democratico newyorkese che dal 3 gennaio presiede la Commissione Esteri della Camera, ha già detto al WaPo che la questione sarà oggetto di approfondimenti – e dunque è probabile che il suo Committee aprirà un fascicolo. La scorsa estate, i democratici della Commissione Intelligence della Camera aveva cercato di alzare un subpoena verso l’interprete del vertice di Helsinki, affinché potesse testimoniare sotto giuramento e rispondere alle domande dei legislatori anche su ciò che si erano detti i due leader. A quei tempi i Dem erano in minoranza, ma ora gli equilibri sono cambiati e contro Trump, sul fronte Russia soprattutto, sono in arrivo una serie di operazioni congressuali.