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Le colpe dell’Europa su Carige secondo Savona

I guai di Carige? Colpa dell’Europa che non investe. L’intervento dello Stato (garanzie sulle emissioni di capitale e ricapitalizzazione pubblica come piano B)? Anche quello, necessario per mettere una pezza a responsabilità altrui, cioè di Bruxelles. Il dossier bancario del momento, il salvataggio della banca ligure finita nelle sabbie mobili dopo il mancato aumento di capitale a dicembre (qui un recente articolo di Formiche.net), è finito per la prima volta al centro delle riflessioni del ministro per gli Affari europei, Paolo Savona, ascoltato in mattinata in commissione Politiche Ue alla Camera. L’economista che Salvini e Di Maio volevano ministro dell’Economia, salvo poi fare retromarcia dopo il veto del Quirinale, non ha lesinato critiche all’Europa, rea di non aver portato a termine l’unione bancaria, l’unica vera rete di protezione contro le crisi bancarie.

“La necessità di intervenire per fronteggiare la situazione di liquidità di Carige è il risultato della incompletezza dell’architettura istituzionale dell’Unione bancaria, che discende anche dalle lacune dell’Unione monetaria”, ha attaccato Savona in commissione. Il responsabile degli Affari Ue ha in particolar modo criticato il fatto di aver spostato il baricentro della vigilanza bancaria, troppo verso l’Ue e senza che la stessa provvedesse a trasformare la Bce in un prestatore di ultima istanza, con robusti poteri di intervento. “L’aver accentrato l’organo di vigilanza in sede europea senza una corrispondente attivazione della funzione di lender of last resort (prestatore di ultima istanza, ndr) e senza creare un fondo di tutela dei depositi, secondo una linea maturata nel tempo sul piano teorico e affermatasi sul piano pratico, crea danni alla stabilità monetaria e finanziaria, alla crescita reale e all’occupazione e alla tenuta sociopolitica dell’Unione”. Se insomma Francoforte fosse stata nelle condizioni di intervenire direttamente in veste di ultimo prestatore di denaro, forse il decreto Carige non sarebbe stato necessario.

Secondo Savona “i poteri di intervento disgiunti dalle relative responsabilità hanno sempre causato danni e comportano necessariamente l’intervento da parte degli Stati membri. Parte del problema è stato messo all’ordine del giorno con la creazione di un gruppo ad alto livello decisa dal Consiglio europeo nel dicembre scorso e finalizzata nella riunione dell’Eurogruppo del 21 gennaio. Il gruppo ad alto livello era stato richiesto dal governo, mio tramite e l’Eurogruppo del 21 ha accettato la posizione italiana di ampliarne il mandato rispetto al semplice esame del fondo europeo di tutela dei depositi”.

Savona però sa bene che qualora non saltasse fuori un partner industriale forte in grado di aggregare Carige, l’unica strada sarebbe la nazionalizzazione dell’istituto. Ma il ministro, incalzato dai deputati, non ha abboccato, lasciando tutte le porte aperte. “L’unica posizione che posso dire è che non sarà il governo solo a decidere, ma sarà anche il Parlamento. L’esecutivo ha una volontà, poi si va in Parlamento e il parlamento esprime il suo punto di vista”. Non è finita qui. Perché lo spettro dell’intervento di Savona si è allargato anche alla possibile, nuova, crisi economica globale, già paventata dall’Fmi nelle previsioni diffuse a Davos. E anche qui l’Ue rischia di macchiarsi di serie responsabilità.

“Trovo inaccettabile subire una nuova recessione soprattutto se indotta dall’esterno, poiché esistono gli strumenti per farvi fronte, cominciando dagli investimenti. Il saggio di crescita sarà quello che ciascun Paese e la collaborazione tra loro in sede europea saprà darsi. Il resto sono solo previsioni, come quella di una crescita dell’Italia dello 0,6%, basate su strumenti palesatisi obsoleti. Un atteggiamento passivo nei confronti di un andamento recessivo dell’economia reale a livello europeo si trasmette inevitabilmente ai rischi bancari, accrescendo la problematicità del recupero dei crediti”. Insomma, agire e reagire.


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