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Con il papa ad Abu Dhabi, lo spirito di Assisi soffia dal campo musulmano. Il commento di Galeazzi

In questi giorni papa Francesco si trova in visita negli Emirati Arabi Uniti, dopo l’accoglienza all’ingresso del Mausoleo dello Sceicco Zayed da parte del Grande Imam di al-Azhar, dai ministri degli Affari Esteri, della Tolleranza e della Cultura, e prima dell’incontro privato con i Membri del Muslim Council of Elders, presso la Gran Moschea dello sceicco Zayed. Una visita centrata sul dialogo interreligioso e sull’incontro tra due culture e tra due fedi religiose. Qui, qui, qui, e qui gli approfondimenti di Formiche.net, che ne ha parlato con Giacomo Galeazzi, saggista e vaticanista del quotidiano La Stampa.

Qual è il senso della visita del Papa negli Emirati Arabi Uniti, cosa lo ha spinto?

Colpisce il fatto che il Papa non va propriamente in visita, ma ha accettato un invito a partecipare a un incontro interreligioso. Ed è importante perché in sostanza è la persecuzione di quello che fece nell’86 Giovanni Paolo II, convocando ad Assisi i leader religiosi per pregare insieme. Non era l’ospite d’onore, ma erano tutti quanti per la prima volta insieme, nella storia, gli uni accanto agli altri. E non per negoziare tregue o per convertirsi a vicenda, ma per pregare insieme e per stare insieme gli uni accanto agli altri.

Oggi, invece, di fronte a cosa ci troviamo?

Con lo stesso spirito oggi Francesco accetta l’invito del principe ereditario, va là e celebra la prima messa pubblica nella culla dell’islam, da pontefice ma anche da portavoce dell’intera cristianità, e come il suo maestro Giovanni XXIII si rivolge a tutti gli uomini di buona volontà. Cioè non conta i suoi, non parla soltanto ai cattolici o nemmeno ai cristiani, ma ai costruttori di ponti. Un gesto autenticamente wotiliano,  in cui si dice che siamo l’uno accanto all’altro. Senza proselitismi ma soprattutto per stabilire correnti di vicinanza, di empatia e di conoscenza diretta, che è esattamente lo spirito con cui nell’86 chiamò tutti ad Assisi Giovanni Paolo II, ripetuto poi da Benedetto XVI venticinque anni dopo. Francesco invece di chiamarli da lui accetta l’invito che gli viene fatto per stare insieme.

Cioè stavolta l’iniziativa non viene da Occidente ma dal mondo musulmano.

Rileggendo tutte le testimonianze dell’86, per un libro che sto scrivendo, vedo che quella volta tutto partiva dal campo cattolico. Adesso, a ottocento anni dall’incontro tra San Francesco e il Sultano d’Egitto, lo spirito di Assisi soffia in direzione opposta, parte dal campo musulmano. La lezione ancora una volta arriva da Giovanni Paolo II: lui chiamò tutti ad Assisi ma dopo che aveva già accolto l’invito nell’81 dei giovani del Marocco, che lo avevano chiamato a parlare allo stadio davanti a ottantamila ragazzi musulmani. Si invoca sempre la reciprocità, e in termini polemici, dicendo che non c’è, mentre qui c’è un buon esempio di reciprocità: per l’incontro di Abu Dhabi gli Emirati hanno mutuato autenticamente lo spirito di Assisi. Si sta insieme per la bellezza del conoscersi e stare gli uni accanto agli altri.

Cos’è cambiato da allora?

All’epoca, chiedendolo al segretario di Stato Agostino Casaroli, mi disse che in effetti quella era una cosa che non si era mai fatta nella Storia. Gli incontri interreligiosi che si facevano erano sempre veramente dei negoziati politici, si parlava di spazi di autonomia, zone di influenza. Si mettevano le bandierine sui territori. Mentre nell’86 cambia l’approccio. Oggi Francesco ha delle caratteristiche abbastanza singolari, per esempio accetta i premi. E come con il premio Carlo Magno, ha accettato questo invito, come San Francesco ottocento anni fa per parlare, confrontarsi e stare insieme. Non è un viaggio apostolico nel senso proprio del termine, perché le comunità cristiane sono minimali, ma è un segno di disponibilità ad accogliere un invito finora venuto dal campo cattolico, e che adesso viene dal campo musulmano, perché è stato capito lo spirito di Assisi che soffia dall’86. Su questo aspetto c’è una forte continuità, un’evoluzione. negli ultimi pontificati: Benedetto XVI tolse il pretesto della violenza ai territoristi, e Francesco accetta l’invito dei musulmani.

La leadership emiratina ha la reputazione di essere particolarmente tollerante, tanto da aver dedicato un ministero a questa particolare parola, che nella cultura occidentale è legata al pensiero illuminista ma che allo stesso tempo richiama una diseguaglianza, una autorità. Contesto molto diverso dai paesi limitrofi.

Anche qui c’è una forma di Ostpolitik, cioè loro parlano a nuora perché suocera intenda. È ovvio che è fondamentale l’evoluzione in Arabia Saudita, ma mutadis mutandis lo era anche la piccola Polonia nei confronti dell’Unione Sovietica. La Santa Sede sceglie interlocutori possibili, scenari limitrofi, e lo è stato in altro ambito quando Benedetto XVI scelse di entrare in Terra Santa dalla Giordania, perché è un paese tollerante. Nella Santa Sede esiste una geopolitica dei viaggi per cui si sceglie il Paese con cui l’interlocuzione è più semplice per dare un valore paradigmatico, di esempio, ai paesi attorno. È ovvio che il Papa va lì per una specificità, una particolarità geopolitica favorevole. Ma al tempo stesso anche perché se oggi si può fare ad Abu Dhabi un domani si potrà fare anche in Arabia Saudita, perché i contesti e le idee camminano sulle gambe delle persone.

Un incontro in cui, senza pregiudizi, ci si sente insieme. 

Per Vatican Insider ho intervistato la professoressa Paola Pizzo di Sant’Egidio, e lei spiega che all’interno delle delegazioni per il dialogo interreligioso si nota che le cose iniziano a cambiare quando ci sono persone che portano avanti idee di tolleranza che si incontrano. Per questo ci tenevano così tanto ad avere il Papa: perché in loro stessi, anche nel mondo sunnita, c’è l’idea che comunque possa smuoversi qualcosa. Idea molto chiara nel segretario di Stato Pietro Parolin: tu puoi essere la famosa palla di neve che provoca la valanga, il sassolino che sgretola il muro e che apre la breccia. Abu Dhabi diventa strategicamente importante. Perché siamo andati in Benin con Benedetto XVI? Perché era evidente che lui trovava lì, in un posto geopoliticamente esplosivo, forme e potenzialità positive. Ogni volta la Santa Sede individua paesi magari piccoli ma che possano essere da esempio per i loro vicini.

Come si intrecciano relazioni?

Con spazi di libertà religiosa negoziata, oggetto oggi della prima messa cattolica nel Paese, un fatto eretico e impensabile dal punto di vista saudita, quello di consentire la pubblica celebrazione della messa del Papa nel proprio territorio. Dicono: benissimo, così come a Roma, città eterna e culla del cristianesimo, c’è la più grande Moschea d’Europa, la prospettiva è che anche l’Arabia Saudita, con questi esempi e modelli, e con un lento lavorio, possa poi aprire spazi di libertà religiosa nel prossimo futuro.

In questo caso molto significato è anche il fatto che il Papa prima della partenza ha ricordato anche la tragedia della Yemen.

Esatto, si combattono per interposta persona interessi geopolitici dell’area. Questo è un viaggio i cui effetti si vedranno dopo, come quando c’erano i viaggi nelle ex Repubbliche sovietiche di Giovanni Paolo II, e dove dopo un po’ i rapporti con l’ortodossia miglioravano. La differenza è che le Chiese cattoliche hanno una gerarchia, mentre l’islam è un magma indistinto, ma se manda segnali può essere che dopo qualche mese si troverà qualcuno che ponga la questione in altri Paesi islamici. Spesso anche lontanissimo da lì, per esempio in un posto come l’Indonesia. Prima il mondo era diviso in due tra est e ovest, oggi il mondo è diviso tra nord e sud, tra un islam frammentato e un cristianesimo in via di secolarizzazione. Abu Dhabi diventa così un momento positivo in cui viene indicata una strada differente al muro contro muro, o peggio ancora all’ignorarsi. Perché almeno se ti fronteggi ti conosci, mentre se ti ignori non hai dialogo.

Una strategia centrata sulla fiducia.

Oggi c’è una dichiarazione del vicario apostolico nella penisola arabica in cui spiega che il fatto stesso che l’incontro avvenga è positivo, è già un risultato. Poi si vedrà. In questo la Santa Sede è molto positiva, come nel Vangelo giudica l’albero dai frutti, e si chiede: vediamo quali darà. I pezzi del mondo cattolico tradizionalista che criticano il Papa per questi slanci interreligiosi sono gli stessi che criticavano Giovanni Paolo II per l’incontro di Assisi e dicevano che gli animisti sgozzavano i polli sull’altare di Santa Chiara. Io penso invece che questo sarà un incontro che produrrà degli effetti nel mondo islamico.

Ricordo un intervento del Papa in cui diceva che se Abramo si fosse fatto troppe domande non sarebbe mai partito…

Ma certo, è verissimo. All’epoca lavoravo alla Congregazione delle Chiese orientali, ricordo quando Giovanni Paolo II nel 2000 iniziò l’anno santo da Ur dei caldei, dove è partito Abramo. È evidente che i monoteismi hanno una specificità che li avvicina e al tempo stesso li mette in competizione. Ma se parto dalla radice comune applico la lezione del Concilio Vaticano II, da ciò che unisce piuttosto che da ciò che divide, e Francesco ragiona così. Non si fa troppe domande teologiche o storiche, ma parte da una considerazione molto pragmatica. Non chiede, non è un Papa che pone questioni, come Benedetto XVI con i princìpi non negoziabili. Francesco negozia, non ovviamente sulla morale, anche lui tiene certi paletti, ma siccome è molto sicuro della sua identità religiosa non ha paura di confrontarsi con quella altrui.

C’è un’importanza di essere presente, fisicamente, andarci e stringersi la mano. In un mondo di comunicazione virtuale, questo è di sicuro un’eccezione.

Francesco è molto poco tecnologico e virtuale, ma è molto tattile. C’è una cosa che mi colpisce molto: quando Giovanni Paolo II incontrava gli indiani si scambiava il cappello con il loro, era un modo per dire che cammina con le stesse scarpe. Francesco spesso scambia con gli altri la papalina: si fida molto poco del virtuale, ma al contrario lui ci va, va lì. Potevano fare un bellissimo e dottissimo scambio di messaggi, invece no, ha detto: ci vado. Parlo, guardo, vedo dove sto, in che contesto mi trovo, e sto tranquillo. Francesco è molto emotivo, apprensivo. Ma ha detto: ci vado, vedo il contesto, quando vede che il flusso umano, non è tanto teologo ma è più antropologo, allora supera anche.

Il viaggio precede altri incontri con sullo sfondo il dialogo interreligioso, come quello in Marocco.

Esatto, un viaggio dove ci sarà da aspettarsi molto. Dove il Papa parlerà di corridoi umanitari, e si chiederà perché l’Europa non fa lo stesso, perché non si trova un modo per entrare in Europa. Sarà un incontro interreligioso ma anche fortemente politico, e geopolitico.


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