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Tatarella venti anni dopo. Il ricordo del precursore della Nuova Repubblica

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Venti anni sono troppi di questi tempi per ricordare chi aveva previsto la crisi del sistema e le modalità per fuoriuscirne attraverso una nuova prospettiva politico istituzionale. Troppi, non per Pinuccio Tatarella, le cui idee risultano straordinariamente attuali, oggi, che l’Italia politica lo ricorda a 20 anni dalla immatura scomparsa.

Alla presenza del Capo dello Stato il ricordo dell’artefice della trasformazione della Destra italiana ed inventore di formule politiche come “Il Centrodestra” e di “Oltre il polo” è tutt’altro che rituale a fronte dell’acuirsi delle contraddizioni che portarono alla dissoluzione della Prima Repubblica e all’incerta nascita della seconda.

Ripartire da Tatarella dalla sua “visionarietà” potrebbe sembrare azzardato di questi tempi, ma non è così. Nella desertificazione in cui si dibattono le forze politiche, palesemente prive di una affidabile bussola, il miraggio di una Nuova Repubblica, così come Tatarella l’aveva immaginata, è un tema di imprescindibile meditazione da parte di coloro che aspirano al cambiamento senza immaginare scorciatoie ma seguendo linee costituzionali percorribili e dunque escludendo avventurismi politico-istituzionali che produrrebbero ancor più caotiche situazioni all’interno di un sistema già fragile.

Tatarella, “padre nobile” di una Destra che aveva visto i suoi “padri storici” andarsene uno dopo l’altro, si caricò, agli inizi degli anni Novanta, sulle spalle il fardello di una Destra che voleva e doveva uscire dalla minorità e s’ingegnò in un progetto che soltanto gli immemori, gli ingenerosi o i pressappochisti possono definire fallimentare, a prescindere dagli esiti che non inficiano la bontà dell’intuizione. Era un progetto quello che portava il nome di Alleanza nazionale indubbiamente decisivo ai fini della riforma della politica nel nostro Paese.

Tatarella immaginava di far convergere intorno ad un interesse reale le contrapposte posizioni. Un disegno che preludeva, nel suo pensiero, alla conciliazione degli opposti contro i rischi di una tendenza muscolare e avrebbe arrecato irreparabili danni al corretto svolgimento della dialettica politica. È fin troppo noto che gli piaceva vincere, ma non a costo di umiliare gli avversari. E da politico raffinato qual era cercava quindi di far prevalere in una originale sintesi idee che si mescolavano, come attestano i fondamentali contributi da lui dati alla formulazione delle due leggi elettorali più innovative della storia italiana del dopoguerra: il “Mattarellum”, per le elezioni politiche, legge nata dalla sua collaborazione con l’allora presidente del gruppo del Ppi, Sergio Mattarella, oggi Capo dello Stato, cui lo legava una profondissima stima, ed il “Tatarellum” per l’elezione diretta del presidente della Regione e dei consigli regionali.

Ma limitare la sua attività parlamentare a questi due fondamentali aspetti, sarebbe riduttivo. Egli si adoperò come semplice deputato, come capo gruppo di Alleanza Nazionale, come vice presidente del Consiglio, a far convivere le diverse “anime” politiche nella prospettiva di una unità per il bene comune.

Tuttavia, in coerenza con la sua visione dei mutamenti politici, Tatarella riteneva che sbarazzarsi del vecchiume senza gettare via la spiritualità che aveva motivato intere generazioni nel darsi alla politica era la sola possibilità che la Destra avesse per contribuire a realizzare scenari sui quali proiettare modelli organizzativi e sperimentare innovazioni. Per quanto non lo desse a vedere in maniera plateale, a chi gli stava più vicino non sfuggiva, insomma, che la politica delle idee era il suo “gioco” preferito.

Insomma Tatarella era un uomo che “amava giocare con le idee” mentre “s’innamorava delle eresie”. Un atteggiamento che traspare dalla costante “invenzione” di giornali, e della promozione di iniziative politico-culturali. Il tutto finalizzato a dare un’anima nuova ad una Repubblica all’epoca già fragile: il Presidenzialismo. E così spiegava la sua scelta: “Il presidenzialismo nasce da destra e deve portare a destra il quadro politico italiano: De Gaulle passa alla storia politica d’Europa perché è un uomo di destra che introduce il presidenzialismo svuotando il centro democristiano francese e riducendo la lotta politica alla destra e alla sinistra”. In questi accenti si colgono i segni di quella sua adesione all’introduzione del maggioritario nel sistema elettorale italiano che spiazzò anche la sua parte politica arroccata nella difesa di un proporzionalismo miope che l’avrebbe condannata alla marginalità. Per fortuna le cose andarono diversamente.

Sul primo numero di quel giornale, proponeva “un’alleanza per il presidenzialismo, una alleanza su un grande tema interpartitico, movimentista, trasversale”. Verrebbe da dire: quanto attuale risulta oggi quella proposta, ma quanto poco praticabile visto il livello del dibattito politico in corso.

Su “Repubblica presidenziale”, tra l’altro, Tatarella rilanciò i temi della democrazia diretta con efficacia persuasiva, contribuendo ad avvicinare tanti a quella che per lui era una battaglia di principio. Su “Puglia tradizione”, altra pubblicazione che merita di essere ricordata, raccolse il meglio di una cultura meridionale che si voleva di retroguardia e che invece era viva e ricca di spunti modernissimi.

Ma non si fermò qui. Il compito che aveva individuato per il centrodestra era molto più ampio della rifondazione dello Stato. Nella sua visione politica c’era posto per fruttuose sperimentazioni preludendi alla costruzione di una democrazia compiuta, partecipativa e decidente. Il bipolarismo, non da tutti compreso era il traguardo che Tatarella si proponeva di far raggiungere al sistema politico al fine di una interazione maggiore tra il popolo consapevole, i suoi rappresentanti e le istituzioni repubblicane.

Lo ricordiamo impegnato su questi “fronti” non solo nel suo lavoro politico parlamentare ma specialmente nella stagione della bicamerale per le riforme costituzionali presieduta da Massimo D’Alema dove diede il meglio di sé.

Oggi, 20 anni dopo la sua morte, raccogliamo i molti segni di saggezza politica e della sua onestà intellettuale, e spargendoli ci auguriamo che possano fruttificare dandoci quella Nuova Repubblica che Pinuccio Tatarella non riuscì a vedere. È questo il suo lascito, e questo dovrebbe essere l’impegno di quanti condivisero quella stagione politica che lo ebbe a protagonista e che lo ricordano con rimpianto e nostalgia.

(qui la recensione a cura di Gennaro Malgieri del libro Pinuccio Tatarella. Passione e intelligenza al servizio dell’Italia (Giubilei Regnani, pp. 231, € 20,00)


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