Il porto di Venezia ha siglato ieri un memorandum di intesa con il porto greco del Pireo, e questo significa che il bacino veneto è, adesso nero su bianco, nell’orbita cinese e nell’ambito della Nuova Via della Seta. La firma sul documento è stata messa dal presidente dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Settentrionale, Pino Musolino, e dal Ceo della Piraeus Port Authority SA, il capitano Fu Chengqiu – il nome non tradisce, è un cinese ex amministratore delegato della Cosco, gigante statale che si occupa di spedizioni e logistica, ed è stato messo dal governo di Pechino alla guida del porto greco quando gli investimenti del Dragone hanno iniziato a pianificare la trasformazione del Pireo nella porta marittima dei prodotti Made in Prc.
L’obiettivo del MoU firmato ieri è quello di implementare il flusso commerciale tra i mercati dell’Europa, del Mediterraneo e dell’Estremo Oriente attraverso i due porti (quello greco è considerato uno dei principali scali del Mediterraneo, ha una posizione strategica verso l’Oriente, è un hub per le più grandi navi portacontainer in servizio diretto Europa-Far East dopo aver attraversato il Canale di Suez). L’accordo italo-greco è praticamente una traduzione tecnica e puntuale del grande progetto che va sotto il nome di Bri (Belt and Road Iniziative) che il presidente cinese Xi Jinping sta spingendo sia sul piano economico-commerciale sia (meno apertamente) su quello geopolitico.
“In uno scenario prossimo che vede un vigoroso aumento dei traffici tra Asia ed Europa lungo la nuova Via della Seta marittima, è necessario puntare con decisione sulla razionalizzazione delle catene logistiche”, ha dichiarato Musolino: “Venezia, che è indicata come punto di arrivo via mare dalla strategia cinese Belt Road Initiative, anche in quanto scalo più vicino ai mercati dell’Europa centrale e snodo primario nella rete infrastrutturale europea Ten-t, si muove da tempo in questo senso”. Ten-t sta per Trans-European transport networks, ossia l’insieme articolato di trasporti stradali, ferroviari, aerei e marittimi transeuropei su cui la Commissione Ue sta lavorando fin dal 1990).
L’accordo interportuale segue quello raggiunto nei mesi scorsi per un collegamento settimanale Venezia-Pireo che sarà operato proprio dalla Cosco, perché, spiega il presidente, “lo sviluppo dei traffici richiede primariamente accordi commerciali, ottimizzazione dei servizi e interventi infrastrutturali mirati”.
Che Venezia sia tra gli interessi cinesi in Italia è chiaro fin da quando Xi ha mostrato pubblicamente le mappe della Bri, lato marittimo. D’altronde la città è stata la porta storica della Via della Seta, e non è l’unico punto di interesse per Pechino: c’è anche Ravenna (dove già opera la cinese Cmg e che sta in via di ampliamento) e poi Trieste in cima alla lista. Là i flussi via mare e quelli via terra potrebbero incontrarsi. Il governo gialloverde è ricettivo alle proposte cinesi, il Mise ha istituito un’apposita Task Force interna per lavorare meglio con Pechino, e si attende prossimamente l’importante visita italiana di Xi.
In quell’occasione è possibile che altri protocolli di intesa strategica possano essere firmati, e magari Trieste sarà uno dei soggetti in questione. Il sottosegretario per lo Sviluppo Economico, Michele Geraci, sta trattando il dossier, ha seguito incontri nel capoluogo dell’estremo Oriente italiano e ha tenuto meeting con Zeno D’Agostino, presidente dell’Autorità Portuale di Trieste. Geraci, molto esperto di Cina e con ottimi link col Dragone, ha accompagnato i delegati italiani (tra cui quelli del Friuli Venezia Giulia) in Cina durante una visita capitanata dal vicepremier grillino Luigi Di Maio.
I MoU, acronimo inglese dei memorandum d’intesa, non sono cessioni definitive ma indirizzi e accordi d’intenti; tuttavia sono aspetti da trattare con cautela. La penetrazione portuale cinese è un fattore di attenzione che – fino al precedente governo – era considerata oggetto della cosiddetta al “golden power“, ovvero i poteri speciali che consentono al governo di blindare una società qualora sia in pericolo l’interesse nazionale. Come ricorda sul Foglio Giulia Pompili, l’Italia spingeva per una legislazione che costruisse una golden power Ue, in cui includere le varie infrastrutture. Dai porti a quelle delle telecomunicazioni, che adesso sono uno degli argomenti al centro della contesa tra Stati Uniti e Cina e riguardano le nuove reti a tecnologia 5G (su cui Washington sta cercando di creare un fronte internazionale ad excludendum contro Pechino).
Venezia ha avviato già da tempo approfondimenti per quanto riguarda gli effetti della strategia cinese. Lo scorso anno lo stesso Musolino ricordava che è vero che la Bri ha creato delle “opportunità innegabili”, ma “minacce [collegate] vanno via via delineandosi”. L’italiano, intervenendo al Forum Economico dell’Europa centro-orientale in Polonia, parlava della “politica dei prestiti per infrastrutture” che per alcuni Paesi si potrebbe tradurre in una “trappola del debito”, e poi della “chiara intenzione cinese di espandere la propria area di influenza ben oltre l’Indo-Pacifico” con il rischio di accrescere “tensioni geopolitiche che potrebbero portare a reazioni da trappola di Tucidide da parte della potenza americana, di cui la guerra dei dazi in atto potrebbe essere il prologo”.
“Se non consideriamo dunque anche queste ombre – continuava Musolino – tutti questi elementi potrebbero, nel medio periodo, portare a risultati opposti a quelli perseguiti, cioè maggiori conflitti, minori traffici, protezionismo”.