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Un Paese arabo ha dato l’ok per l’avanzata di Haftar. La denuncia di Tripoli

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Durante un’intervista sulla televisione libica Al Hurra, Fathi Bashagha, misurtino, ex colonnello dell’aviaizone libica diventato politico e chiamato a fare la funzione di ministro dell’Interno del governo di Accordo nazionale libico (Gna), ha detto che “un paese arabo” ha dato il via libera a Khalifa Haftar, per lanciare l’operazione militare su Tripoli.

L’autoproclamato Maresciallo di Campo, signore della guerra della Cirenaica alla guida di una milizia che si fa chiamare Esercito nazionale libico (Lna), è a 40 chilometri dalla capitale libica, dove ha sede il Gna guidato da Fayez Serraj, incaricato dalle Nazioni Unite di avviare il processo di rappacificazione, ma che da ormai da quattro anni riscuote un successo via via calante e non è riuscito ancora nel suo obiettivo.

Da ieri circolano le direttive diffuse dall’Lna, che chiede ai suoi soldati di avanzare – per il momento – senza aprire il fuoco per primi, garantisce sicurezza per chi sta in casa e per chi alza bandiera bianca, e promette di permettere passaggi sicuri per gli stranieri. “The Great Conquest”, la grande conquista, è stata chiamata l’operazione con cui Haftar dice di voler “far spalancare il terreno sotto ai piedi all’oppressore”, che per lui è Serraj. In risposta alle mosse dell’Lna, le milizie che invece sostengono il processo onusiano – anche se in modo non troppo convinto – si sono arroccate per difendere le posizioni.

Le due aree geografiche libiche, la Tripolitania a Ovest e la Cirenaica a Est, sono completamente divise da diversi anni: le fazioni tripoline che sostengono Serraj odiano Haftar, che risponde con sentimento reciproco (il generale considera la sua una missione anti-terrorismo, perché vede nell’islamismo di diverse di quelle milizie un nemico per il paese).

Nel quadro si inseriscono gli attori esterni. Il progetto onusiano raccoglie una lunga serie di sostenitori formali, di cui l’Italia è tra i capofila; le milizie tripoline godono dell’appoggio di Qatar e Turchia (legate alla Fratellanza musulmana); Haftar è sostenuto da Egitto, Emirati Arabi e Bahrein, ma anche meno apertamente dalla Francia e dalla Russia – e ultimamente nel gruppo che sostiene il Feldmaresciallo è entrata anche l’Arabia Saudita, con una posizione più aperta .

La dichiarazione di Bashagha – che per Serraj ha curato diverse relazioni e contatti – diventa interessante soprattutto per il quadro generale – sul campo, per il momento, l’operazione haftariana non ha portato grosse conseguenze: praticamente non ci sono stati scontri, e non è chiara l’effettiva consistenza militare dell’Lna. “Ci sentiamo traditi dalla Comunità internazionale che non ha mantenuto le sue promesse”, ha detto però Bashagha.

Strategicamente l’aspetto di valore, ammesso che la dichiarazione del ministro dell’Intero di Serraj sia reale e priva di propaganda, sta certamente nel capire quale sia stato il paese arabo a dare il semaforo verde ad Haftar. E c’è una coincidenza che non può sfuggire: il 27 marzo il Maresciallo di campo era a Riad, dove ha incontrato sia il re che l’erede al trono (e funzionari emiratini, alleati di ferro dei sauditi).

Quell’incontro è considerato dai più informati osservatori del teatro libico il momento in cui l’Arabia Saudita ha formalmente cambiato il livello di coinvolgimento sul dossier Libia e in generale sul Nord Africa. Un’assertività che per Riad è frutto del sommarsi del piano geopolitico – l’interesse della saldatura nell’area MENA – a quello di carattere più ideologico-religioso (legato al contrasto con le visioni dell’Islam politico interpretate da Qatar e Turchia, che Riad vede come rivali interni al mondo).

 



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