La lettera inviata da Benedetto XVI al Corriere della Sera non è un evento mediatico e non è un’estrinsecazione emotiva. Si tratta, a ben leggere il testo, di un contributo essenziale alla comprensione di accadimenti che sono centrali per afferrare il significato della parabola storica dell’Occidente, con al centro il nostro “strano mondo”, come lo definiva Jacques Maritain.
L’argomentazione stringata e intensa muove dalle piaghe rosminiane della Chiesa di oggi, e, in modo del tutto particolare, dallo scandalo degli abusi sessuali che lacerano la vita e la fede dei cattolici contemporanei. Il Papa emerito presenta concretamente un ragionamento che va a monte del problema, indicando la causa etica che realmente svela quanto è accaduto negli ultimi decenni.
Il 1968 è una data simbolica che segnala lo strappo rivoluzionario che si è celebrato e consumato nei nostri costumi educativi e sociali: “La situazione ebbe inizio con l’introduzione, decretata e sostenuta dallo Stato, dei bambini e della gioventù alla natura della sessualità”. Fu così che pian piano il bene comune venne progressivamente sganciato dai fondamenti metafisici che ne hanno da sempre definito i contorni.
Pensare la libertà senza natura, concepire l’azione umana senza verità, indirizzare l’azione verso diritti senza finalità e doveri, è stato, in effetti, un dramma inedito, molto più incisivo di quanto si potesse allora prevedere, e affatto più dannoso di quanto si riesca oggi ad intuire.
Una cultura libertaria si è introdotta progressivamente all’interno della storia come prassi assoluta del soggetto, e l’agire è divenuto inevitabilmente un nuovo falso idolo anche nella formazione cristiana, sottomessa all’irreparabile logica relativistica dei diritti incondizionati, senza più il limite essenziale del bene e del male.
Benedetto XVI presenta un quadro tremendamente realistico del processo di secolarizzazione che ha condotto l’Europa a perdere in poco tempo il legame con la sua tradizione filosofica classica, riponendo fiducia unicamente nelle forze potenti degli interessi individualisti e utilitaristi, spogliando la struttura umana di quella potenza di resistenza ontologica costituita dalle permanenti ed immodificabili costanti antropologiche.
Nella seconda parte dello scritto, Joseph Ratzinger spinge l’esame più avanti, guardando al futuro e aggiungendo una parte costruttiva alla breve e poderosa diagnosi precedente sulla crisi, anche ecclesiale, della società cristiana.
Bisogna ripartire dall’essere, ripensando la realtà come una condizione oggettiva al cui vertice riposa il mistero di Dio-Persona. Tommaso d’Aquino sembra suggerire che è soltanto se comprendiamo l’esistenza della sostanza semplice ed eterna, allora siamo in grado di cogliere il senso razionale del mondo e il valore soprannaturale della fede. Il Cristianesimo è una religione che si fonda su una Trinità personale, Dio, che per amore ha creato tutto l’essere, e nell’essere continua a conservare e salvare il suo vertice: l’uomo. Se manca il senso metafisico di Dio, si perde il senso ontologico dell’uomo, disperdendo la verità eterna in un contesto fragile nel quale l’etica e la fede non costituiscono più nulla di necessario.
Molto importanti sono le brevi riflessioni che Benedetto XVI dedica a questo snodo cruciale dell’esistenza. Aristotele insegnava, infatti, che “se non esistesse l’eternità, neanche il tempo potrebbe esistere”. A ciò Romano Guardini, citato direttamente nella missiva, aggiungeva che la consapevolezza della Chiesa può presentarsi come salvezza soltanto dall’interno, con il risvegliarsi della sua presenza comunitaria nell’anima del credente.
Il messaggio di fondo, in definitiva, è molto chiaro e importante: soltanto quando il singolo uomo guadagna la coscienza del primato ontologico e metafisico della sostanza divina, allora gli è possibile reperire il valore ultimo del Cristianesimo, sapendo accogliere razionalmente se stesso e gli altri nella fede, vedendo l’amore di Dio dietro anche la più scandalosa e disarmante sofferenza spirituale e materiale. Il valore assoluto della vita personale, infatti, che Dio stesso ha rivelato facendosi uomo, comunicando se stesso e la sua Chiesa direttamente al mondo e alla storia, si chiama santità, ed è l’unica felicità nella quale abbia umanamente senso sperare per un cristiano. Il resto veramente non conta.