Il bubbone libico è scoppiato improvvisamente in mano al governo Conte e il presidente del Consiglio sta cercando di gestire l’emergenza in Libia provando a coinvolgere il maggior numero di alleati, europei e possibilmente americani, mentre deve frenare l’attivismo di Matteo Salvini. Il ruolo di presidente e l’aver mantenuto la delega all’intelligence consentono a Giuseppe Conte di avocare il coordinamento di una matassa terribilmente ingarbugliata. Ha ragione chi, come lo stesso presidente o il ministro Elisabetta Trenta, getta acqua sul fuoco di un’escalation militare.
Il primo in un’intervista al Fatto quotidiano ha confermato la visita di emissari di Khalifa Haftar ai quali ha ribadito l’impegno per il dialogo; la seconda dal Corriere della Sera ha mandato messaggi indiretti al ministro dell’Interno invitandolo a non cercare lo scontro politico in Europa.
Naturalmente per l’Italia i problemi non sono soltanto economici e geopolitici perché preoccupano molto anche le conseguenze sul fronte dell’immigrazione e del terrorismo. Conte ripete da giorni che c’è il rischio di una crisi umanitaria e la cabina di regia appena istituita a Palazzo Chigi e destinata a durare fino alla soluzione del caos libico dimostra che un vero coordinamento finora non c’è stato: attivare un tavolo di crisi è scelta delle grandi emergenze.
Salvini morde il freno, sa che stavolta non può avere mano libera come tante volte ha fatto invadendo l’area degli esteri o quella dell’intelligence e sa che l’aggravarsi della crisi porterebbe problemi soprattutto al suo ministero. Senza neanche parlare di nuovi grandi flussi migratori, basterebbe un cospicuo numero di barconi pieni di sfollati libici per mandare in tilt la politica finora seguita dal leader leghista. Sarebbe impossibile non accoglierli e Conte lo fa capire quando afferma al Fatto che se la Libia diventasse Paese di partenza (e non solo di transito) “metterebbe a dura prova un sistema di accoglienza che non funziona ancora a livello europeo”. Cioè dovrebbero tutti sbarcare in Italia e poi si vedrà.
L’altro tema è il terrorismo, monitorato quanto si vuole anche con frequenti contatti riservati tra le strutture italiane e i numerosi capi delle milizie libiche, ma che è come un pesce nell’acqua in una situazione di assoluta instabilità. Anche se il maggior numero di foreign fighter del teatro siro-iracheno si è diretto verso l’area Afghanistan-Pakistan, non si esclude che altri siano in Libia insieme con organizzazioni terroristiche da sempre attive in quel territorio. Da tempo gli analisti temono un ampliarsi della crisi economica e politica in diverse aree del Maghreb: basti pensare all’Algeria dove continuano le proteste di piazza perché non piace che il provvisorio successore del dimesso presidente Abdelaziz Bouteflika sia un suo sodale. La comunità internazionale deve spegnere l’incendio libico prima che si allarghi e diventi ingestibile.
Sarà certamente un caso, ma per più di mezza giornata le opposizioni italiane hanno frenato gli attacchi al governo mentre si riuniva la cabina di regia a Palazzo Chigi. Che l’attuale esecutivo non abbia gestito al meglio il dossier libico è nei fatti, ma dovrebbe essere interesse di tutto il Parlamento collaborare per venirne fuori nel modo migliore.