LA GUERRA DEI NUMERI
Libia. L’aviazione dell’Esercito nazionale libico (Lna), la milizia della Cirenaica comandata dal signore della guerra Khalifa Haftar, ieri sera ha bombardato quattro posizioni delle forze che difendono il Governo di accordo nazionale (Gna), l‘esecutivo onusiano guidato da Fayez al-Sarraj, a sud di Tripoli. Oggi il portavoce delle milizie di Misurata che combattono Haftar ha invece detto che l’aviazione della città-stato della Tripolitania ha colpito sei bersagli delle forze haftariane nella zona meridionale dell’hinterland allargato tripolino.
La guerra aerea complica ulteriormente i combattimenti iniziati il 4 aprile, quando le forze di Haftar hanno avviato l’aggressione per conquistare la capitale — uno scacco con cui prendere Tripoli e destituire Serraj nel tentativo di liberarsi il campo per diventare il nuovo rais libico. Ma la presa non è riuscita, e la situazione è militarmente in stallo.
Anche prevedendo questo scenario, il 15 aprile da queste colonne era stato lanciato un appello per chiedere al governo italiano di farsi promotore di una richiesta in sede Nato per instaurare nel Paese una no-fly zone a protezione dei civili.
NESSUNO SOVRASTA L’ALTRO
Nessuna delle due forze in campo in Libia è in grado di sovrastare l’altra, un (dis)equilibrio delicatissimo anche perché entrambe hanno recentemente ricevuto rifornimenti e nuovi armamenti da sponsor esterni (in apparente violazione all’embargo Onu) e tutti vogliono usarli per vincere. Nelle prime ore di oggi le forze di Haftar avevano annunciato “un attacco violento” nella zona di Naqlia, ma sono stati respinti, perdendo alcuni mezzi tra cui almeno uno dei nuovi blindati di fabbricazione giordana da poco ricevuto.
Una situazione che ha prodotto anche un blocco politico, perché nessuno ha intenzione di deporre le armi e tornare ai negoziati, e altrettanto non c’è un’attività politica forte in grado di innescare il processo inverso. L‘altra notte, Haftar ha ordinato di bombardare l’albergo di Tripoli che nella sua sala conferenze sta ospitando il tentativo con cui alcuni parlamentari dell’ovest hanno provato a riunire le forze per dare un sostegno formale a Serraj e provare a sbloccare la situazione con la forza della politica.
Il risultato della situazione è nei numeri forniti dalle Nazioni Unite nel nuovo bilancio parziale della crisi: oltre 82mila persone sono sfollate a causa dei combattimenti in corso nella periferia di Tripoli. In conferenza stampa, il portavoce del Segretario generale dell’Onu, Ste’phane Dujarric, ha avvertito che l’ondata di sfollati si fermerà solo se si fermeranno anche i combattimenti.
Un altro dei problemi connessi è il ritorno del terrorismo, che è essenzialmente quello legato allo Stato islamico — che è tornato a farsi notare nel paese in queste due settimane dopo che dall’inizio del 2019 era stato praticamente silente (e sostanzialmente poco attivo). Se la guerra civile continua, il territorio libico può diventare appetibile anche per gli interessi di altri gruppi jihadisti che si muovono a cavallo del Sahel/Maghreb (come per esempio quelli legati ad al Qaeda, con relazioni osmotiche con il mondo della criminalità e del contrabbando, e in continuo contatto con ancora altre realtà jihadiste più a sud).