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Russiagate, ecco che cosa dirà Mueller in audizione al Congresso

Riflettori ancora accesi sul Russiagate, dove negli Usa andrà in scena domani un nuovo capitolo, questa volta tutto politico, della vicenda che riguarda le interferenze di Mosca durante le elezioni presidenziali del 2016.

L’EVOLUZIONE DEL CASO

Alla fine di maggio, per la prima volta l’allora special counsel aveva dato la sua versione dei fatti, annunciando il suo addio al dipartimento di Giustizia e il suo ritorno alla vita privata. Dopo l’indagine che per 22 mesi lo aveva visto impegnato e che ha infiammato (e continua a infiammare) il dibattito politico americano, Mueller, congedandosi, non aveva in verità svelato cose nuove, ma piuttosto ribadito quanto era emerso a marzo, quando aveva consegnato il suo rapporto conclusivo al procuratore generale degli Stati Uniti, William Barr, spiegando di non voler rilasciare commenti aggiuntivi sul caso, men che meno su “conclusioni ipotetiche”. E se fosse stato successivamente obbligato a parlare davanti ai membri delle commissioni parlamentari che stanno indagando – come ora è accadrà – aveva detto: “Ogni testimonianza non andrebbe oltre quanto contenuto nel rapporto”, giudicato “la mia testimonianza. Non aggiungerei nulla rispetto a quando è già stato reso pubblico”.

LE PAROLE DI BARR E TRUMP

Ed è altamente probabile che vada così anche questa volta, nonostante le pressioni dei Dem che guidano entrambe le commissioni e che proveranno a strappargli ulteriori dettagli perché considerano la testimonianza un momento di svolta per decidere se avviare la procedura di impeachment nei confronti dell’attuale inquilino della Casa Bianca.
La tensione è tuttavia palpabile e a testimoniarlo ci sono un dettaglio e una dichiarazione.
Il dettaglio è quello che ha visto Donald Trump, critico nei confronti dell’inchiesta, cambiare idea sul seguire l’audizione. Venerdì aveva dichiarato che non l’avrebbe seguita affatto. Ieri ha detto che forse ne seguirà un parte.
La dichiarazione, invece, è giunta da Barr, che alla vigilia della testimonianza dell’ex numero uno dell’Fbi ha spiegato che quest’ultimo dovrà attenersi strettamente al dossier sul Russiagate e che si attende che Mueller non faccia riferimento a coloro su cui ha indagato, ma che non sono stati incriminati. Il presidente, ad esempio.
Il riferimento è ad alcune parole che lo special counsel disse lo scorso 29 maggio, dopo la chiusura del rapporto” di 448 pagine, consegnato dopo 22 mesi di indagini sul caso. “Se fossimo stati certi che il presidente non ha commesso crimini (ovvero interferire nelle indagini sul suo conto), lo avremmo detto” (cioè sarebbe stato scagionato, mentre è stato ‘solamente’ non ritenuto colpevole). Una distinzione sottile, ma che politicamente fa ancora la differenza, anche perché lo stesso report sosteneva che Trump avrebbe, secondo le indagini, intralciato l’inchiesta, ma che ciò non sarebbe avvenuto perché i suoi non avrebbero eseguito le sue indicazioni.

LE INTERFERENZE RUSSE

Difficile, però, che Mueller si soffermi troppo su questo aspetto. Di certo evidenzierà invece uno degli aspetti più importanti emersi dalla sua indagine, ovvero che, come disse in precedenza, ovvero l’assenza di ogni dubbio circa il ruolo attivo della Russia che ha “lanciato un attacco coordinato verso il nostro sistema politico” nel tentativo di “interferire nelle nostre elezioni e danneggiare un candidato presidenziale”, nello specifico la democratica Hillary Clinton.
Una minaccia che, secondo l’attuale capo dell’Fbi Christopher Wray è destinata a durare perché Mosca, nonostante le sanzioni e gli sforzi di dissuasione, sarebbe “assolutamente determinata a tentare di interferire” con le elezioni americane attraverso una campagna di influenza.
Per questo, dopo anni di sforzi per contrastare le minaccia terroristica, ha raccontato in più occasioni Formiche.net, Washington si sta effettivamente focalizzando su avversari nuovi, come la Cina, e tradizionali, come la Russia, con la quale è da tempo in corso una nuova guerra fredda dai contorni cyber. In questo conflitto a media intensità, ma di fatto permanente, la Casa Bianca ha deciso da qualche tempo di mutare strategia, rendendo permanente la Task Force dedicata a Mosca e adottando – come ha recentemente ricordato il consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton – un approccio più offensivo, a fini di deterrenza, che vedrebbe in prima linea cyber soldati e Pentagono, investiti di maggiore libertà di movimento e azione nello spazio cibernetico. Ed è fresco l’annuncio, da parte della National Intelligence, della creazione di una nuova posizione che sarà ricoperta da un funzionario esperto chiamato proprio a supervisionare la sicurezza elettorale.

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