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Wargame russi a Hormuz. Come si allarga il dossier Iran

L’Iran è diventato un dossier in cui si dipanano mosse e posture tra potenze di varie dimensioni, da cui si marcano gli allineamenti attuali e si segnano quelli futuri. Dai tavoli del Jcpoa – l’accordo sul congelamento del programma nucleare del 2015 in fase di smottamento da quando gli Stati Uniti si sono ritirati unilateralmente – al confronto muscolare nel Golfo, ora diventato anche un terreno di sfogo della crisi attorno all’accordo e una problematica internazionale di sicurezza marittima (e non solo). 

Ieri sera l’agenzia stampa cinese Xinhua ha diffuso (per prima e worldwide) un comunicato dell’iraniana Irna in cui si annuncia che Russia e Iran hanno programmato nelle acque dell’Oceano Indiano manovre militari imminenti che si prolungheranno fino al Golfo dell’Oman e allo Stretto di Hormuz, ossia sulla rotta chiave dei traffici energetici globali (greggio, gnl, petrolchimico). Un lineamento delicatissimo, all’interno del quale ci sono movimenti di varie imbarcazioni militari in risposta ai sabotaggi subiti da alcune petroliere nel corso degli ultimi tre mesi.

Azioni che potrebbero essere ascrivibili ai Pasdaran (gli Usa dicono di avere a disposizione prove), ma a plausible deniability, termine che viene usato per indicare attività militari clandestine e che è una semantica chiave per descrivere il momento. Diverso genere quello che ha portato la petroliera inglese “Stena Impero” alla fonda nel porto di Bandar Abbas, dopo che i barchini dei Guardiani l’hanno circondata con un pretesto, per poi sequestrarla. Rappresaglia per un’operazione simile, con i Royal Marines che erano sbarcati da un elicottero sul ponte di una petroliera iraniana mentre doppiava Gibilterra diretta in Siria, per portare petrolio a una raffineria controllata dal regime, in violazione delle sanzioni Ue.

L’informazioni diffusa dalla Xinhua diventa molto interessante per il giro mediatico-diplomatico che c’è dietro: la Cina è cofirmataria del Jcpoa, e sta lavorando ufficialmente per difenderlo (tra l’altro tenendo aperto l’export petrolifero iraniano nonostante le sanzioni Usa), ma sta anche rafforzando l’alleanza strategica con la Russia in chiave anti-occidentale (detto semplificando, argomentando leggermente di più: sta cercando la sponda di Mosca per costruirsi una dimensione globale rubando spazi all’Occidente rappresentato dal blocco filo-statunitense). Cina e Iran sono in rapporti, così come Russia e Iran, che il 27 luglio (giorno della Festa della Marina russa) hanno firmato un protocollo d’intesa tra forze navali che prevede una cooperazione militare con cui i russi entrano a gamba tesa nel dossier iraniano – le esercitazioni su Hormuz entrano in questo quadro.

E c’è un altro giro di questo genere interessante. Quella stessa raffineria siriana è finita al centro di un caso, perché ha subito dei sabotaggi molto sospetti di cui si è parlato molto poco se non sui canali mediatici russi – Sputnik, il sito che lancia la propaganda del Cremlino in varie lingue, per esempio ci ha scritto un articolo nella versione in arabo con fonti dal posto che incolpano qualche incursore occidentale di aver manomesso i tubi che permettono alle petroliere di trasferire il greggio sulla terra ferma. Era l’inizio di luglio (il sabotaggio dovrebbe essere avvenuto a fine giugno). Più tardi, sempre in Siria, c’è stata un’esplosione sospetta in un altro impianto, anche quello rifornito di solito con petrolio iraniano.

Gibilterra e la Siria, poi Israele. Perché i sospetti per gli attacchi sono ricaduti sui commandos della Shayetet 13 che per esperienza, logistica e interessi, potrebbero aver compiuto l’operazione nella raffineria di Banyas. Israele è nella partita. Nei giorni scorsi è stata fatta uscire la ricostruzione di una missione segreta condotta dagli Adir – gli F-35 modificati che la Lockheed Martin ha preparato per lo Stato ebraico – nel marzo del 2018. I caccia in modalità stealth sono penetrati nel territorio iraniano, hanno volato sopra Teheran e sopra Bandar Abbas, hanno fotografato postazioni militari sensibili, e nessuno se n’è accorto. Poi c’è stata un’indagine interna che ha portato al licenziamento del capo dell’areonautica.

La notizia è stata regalata alla stampa adesso (esattamente a un sito kuwaitiano che viene considerato la voce dell’intelligence israeliana), oltre un anno dopo i fatti, e non è un caso. Gerusalemme ha intenzione di non mollare nel suo contrasto continuo e silenzioso all’Iran, ancora di più in questo momento in cui i Pasdaran sono innervositi e possono compiere gesti incontrollabili. I bombardamenti a cavallo del Golan su postazioni iraniane in Siria si susseguono a ritmo costante (due negli ultimi tre giorni), coinvolgendo gli scambi di armi col gruppo libanese Hezbollah – che è alleato dell’Iran e nemico di Israele e che secondo i più recenti report di intelligence potrebbe attaccare lo Stato ebraico molto presto, saturando lo spazio aereo del quadrante nord con una continua pioggia di missili che renderebbe impossibile alle difese aeree israeliane di funzionare correttamente.

Niente di ufficiale, però. Gerusalemme non commenta, ma manda messaggi. La scorsa settimana uno dei reclutatori di Hezbollah (che è un partito/milizia che sotto certi aspetti lavora in modo simile a un gruppo jihadista) è saltato in aria mentre rientrava nella sua macchina in una cittadina di confine. Operazioni del genere non sono una novità per il Mossad, ma di solito vengono fuori dopo decenni. Anche Hezbollah è una parte della partita sul dossier iraniano, che estende il quadro del confronto non solo al Libano, ma anche ad altri Paesi, come per esempio quelli sudamericani. L’Argentina una decina di giorni fa ha designato il gruppo come organizzazione terroristica mentre il segretario di Stato americano era a Buenos Aires impegnato in un tour subcontinentale – per Washington combattere Hezbollah significa combattere l’Iran, perché c’è un collegamento tra le due realtà, dato che i Pasdaran sfruttano gruppi come quello libanese per diffondere la propria influenza a livello regionale. 

E parlando di influenza regionale, di gruppi paramilitari sciiti, Israele e missioni clandestine, non si può non citare un altro genere di allargamento del fronte: nelle ultime settimane ci sono stati diversi attacchi aerei – tramite droni – su postazioni utilizzate dalle milizie sciite in Iraq. Sospetti, di nuovo, sugli israeliani. Baghdad è un link nevralgico per il confronto con Teheran, su cui anche gli Stati Uniti stanno lavorando in termini diplomatici fin dall’inizio di questa fase: ricorderà che il segretario di Stato, a maggio, fece saltare all’ultimo minuto una visita calendarizzata in Germania per recarsi d’urgenza a Baghdad e parlare con il primo ministro. Gli Usa avevano informazioni di intelligence secondo cui gli iraniani avevano passato missili alle milizie sciite irachene (che compongono, come Hezbollah in Libano, parte del sostrato socio-politico-economico del Paese).

Ci sono ambiti evidenti di allargamento del confronto, che ha ormai dimensione globale: basti pensare per altro che a tutela del Jcpoa ci sono in gioco i membri permanenti – Usa escluso, chiaramente – del Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite. E in campo, il confronto con l’Iran è diventato già uno scontro per vie indirette e spesso coperte. Il rischio è enorme, perché un incidente in questa guerra sotto traccia finora a bassa intensità potrebbe portare a un’escalation rapidissima e a uno scontro aperto che interesserebbe più fronti. Da ieri per pattugliare Hormuz è arrivata anche il “Duncan”, cacciatorpediniere di Sua Maestà: Londra tratta ai tavoli negoziali, ma ha una presenza sul terreno per difendere gli interessi energetici del Golfo a cui è collegata.

(Foto: Idf, due operatori dello Shayetet 13 durante un’esercitazione)


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