L’aeroporto internazionale di Mitiga, l’unico in funzione a Tripoli, è stato chiuso per tre ore a causa di una pioggia di missili lanciata sullo scalo.
Tutto mentre gli Stati Uniti tornano a parlare di Libia, partendo proprio da quello che sta succedendo a Mitiga e puntando l‘attenzione alle condizioni umanitarie e di sicurezza che le battaglie a sud di Tripoli stanno producendo. Quattro mesi di scontri, iniziati quando il signore della guerra della Cirenaica, Khalifa Haftar, ha provato a conquistare la capitale per rovesciare il governo insediato tre anni fa dall’Onu e intestarsi con le armi la guida del paese.
È l’ambasciata americana in Libia a scrivere un comunicato in cui invita “tutte le parti” in conflitto “a raddoppiare gli sforzi per proteggere i civili e prevenire danni alle infrastrutture civili”. In particolare, si chiede di fermare li attacchi contro l’aeroporto Matiga di Tripoli, che hanno anche messo in pericolo i civili libici che si trovavano lì il 3 agosto per imbarcarsi sugli aerei verso il pellegrinaggio dell’Hajj.
“La sicurezza del traffico aereo civile e delle infrastrutture, che è essenziale per facilitare il commercio e la consegna di forniture umanitarie a beneficio di tutti i libici, dovrebbe essere rispettata da tutte le parti dell’attuale conflitto”, dice l’avamposto del dipartimento di Stato nel paese nordafricano.
In realtà, le bombe su Mitiga – così come quelle sull’aeroporto di Misurata, che hanno messo a rischio la sicurezza del contingente italiano legato all’ospedale militare – sono state sganciate dalla forza aerea haftariana, che intende disarticolare il sistema delle infrastrutture aeree per indebolire il fronte tripolitano (costituito prevalentemente dalla forza di resistenza delle milizie misuratine).
L’Ambasciata esprime inoltre la sua preoccupazione per le violenze che colpiscono i civili a Murzuq, compresi gli attacchi aerei del 4 agosto che “secondo quanto riferito hanno ucciso e ferito un gran numero di civili”. Anche questi bombardamenti sono stati operati da Haftar, ma Washington evita di citare espressamente il nome dei responsabili e chiede a entrambi i fronti, ormai sponde di una guerra civile di posizione, il cessate il fuoco e il ritorno al processo politico mediato dalle Nazioni Unite.
L’Ambasciata riafferma il suo sostegno alla richiesta delle Nazioni Unite di iniziare una tregua in occasione delle vacanze di Eid al-Adha: “Durante questa stagione santa di sacrificio e riflessione, onoriamo il diritto di tutti i libici di esprimere la loro fede in pace, stabilità e dignità”.
La diplomazia americana in Libia sembra stia seguendo una fase di aumento delle attività. Pochi giorni fa, l’incaricato d’affari Joshua Harris ha incontrato il vicepremier onusiano Ahmed Maiteeg, un misuratino che tiene i contatti internazionali per il governo di Tripoli che Haftar vorrebbe vedere distrutto. L’ambasciata fa sapere che i due hanno discusso degli sforzi per sostenere le istituzioni economiche libiche e rafforzare i legami commerciali con la Libia degli Stati Uniti, concordando sull’importanza fondamentale di una fine dei combattimenti a Tripoli e di un ritorno al processo politico. Pochi giorni prima, il diplomatico Usa aveva ospitato Mustapha Sanalla, il chairman della Noc, la compagnia petrolifera statale (enorme risorsa economica per il paese), e sempre nella stessa settimana aveva ricevuto Fayez Serraj, che guida il consiglio presidenziale, organo esecutivo creato dall’Onu.
L’Italia non ha ancora preso posizione sulle vicende degli ultimi giorni, e lo stesso ha fatto la Francia, che nel suo silenzio è stata più volte accusata di collusioni — in alcuni casi anche venute alla luce — con le manovre di Haftar.