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Il guaio più grande del #Renzimaio? La Cina. Lo spiega Carrer (via Twitter)

Di Gabriele Carrer

Il #Renzimaio sarebbe il governo più filocinese della storia della Repubblica. Se Renzi e Di Maio trovassero l’intesa, l’Italia si avvicinerebbe ancora di più alla Cina, visto che proprio negli anni di Renzi a Palazzo Chigi il nostro Paese si è avvicinato alla Bri.

Per mesi abbiamo sentito il Pd lamentarsi della Lega che avrebbe venduto l’Italia alla Russia e del Movimento 5 Stelle che avrebbe venduto l’Italia alla Cina firmando il MoU sulla Via della Seta. Ma il Pd, in quest’ultimo caso, non è esente da colpe. Vediamo perché.

L’avvicinamento dell’Italia alla Cina è iniziato nel 2011-2012. Al governo c’era Mario Monti, che nel 2012 a Pechino disse: “L’Italia vede nella Cina un importantissimo partner strategico e intende rafforzare il più possibile la già ottima collaborazione”.

Poi toccò a Enrico Letta avvicinare l’Italia alla Bri. Dopo la firma del MoU, disse: “Non c’è alcuna contraddizione tra quello che sta facendo il governo italiano per penetrare i mercati asiatici con la nuova Via della Seta (…) con le regole europee e la fedeltà agli Usa”. Nel giugno 2014 Letta era atteso in Cina, ma l’#Enricostaisereno cambiò un po’ di cose. Ci andò Renzi, che chiese a Pechino più investimenti in Italia e in cambio si beccò i complimenti di Xi Jinping: “Riforme di rilevanza internazionale”.

Nell’occasione furono firmati molti accordi di partenariato tra aziende italiane e cinesi per la cooperazione in settori strategici (tra questi anche aviazione e aerospazio).

Sempre Renzi, due anni più tardi (2016), a margine del G20, disse alla tv di Stato cinese Cctv: “Penso che abbiamo molte possibilità se seguiamo l’iniziativa “One Belt One Road” ma nella mia mente la priorità è la decisione raggiunta dal governo italiano di cambiare… la regolamentazione dei porti: questa è un’opportunità davvero grande, perché l’Italia è una terra bagnata dal mare e la conclusione della strada tra la Cina e l’Europa possono essere proprio i porti italiani”.

Renzi è stato a Pechino pochi mesi fa “per parlare di educazione e cultura davanti a tremila ragazzi cinesi”.

L’anno prima (2017) toccò a Gentiloni, da Pechino per il forum One Belt One Road: “L’Italia può essere protagonista in questa grande operazione a cui la Cina tiene molto: per noi è una grande occasione e la mia presenza qui significa quanto la riteniamo importante”. Ancora Gentiloni a proposito dell’investimento nella Bri: “Può portare conseguenze importanti per l’Italia: porti, infrastrutture e commercio in genere. È una storia che va avanti da secoli”.

Figura chiave di quell’apertura fu Ivan Scalfarotto, sottosegretario al Mise sotto Renzi e Gentiloni (come Geraci per Conte).

Il sempre attento ai diritti umani (a casa nostra) Scalfarotto avrà detto qualcosa sui diritti umani alla Cina? O avrà fatto come nel caso dell’accordo nucleare con l’Iran, preferendo gli affari ai diritti umani?

Ma neppure il Pd non brilla per coerenza. Prima apre alla Via della Seta, poi quando viene firmato il MoU parla di sovranità ceduta, infine tenta di allearsi con chi accusa di aver ceduto questa sovranità.

C’è, infine, un aspetto geopolitico da considerare. Mentre la Lega si sta sempre più avvicinando agli Usa, nonostante qualche timore di Washington su dossier come Russia e Iran, il Renzimaio sarebbe un successo per la Cina. Attenzione: in ballo c’è il futuro, cioè le reti 5G.

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