Ho sempre coltivato una sorta di sana diffidenza per i programmi politici. Come dicevano i classici del pensiero politico realista, essi son fatti per essere disattesi, se non altro perché si consumano nel concreto della lotta politica che si fa giorno per giorno. La diffidenza poi aumenta ancor più quando i programmi assumono una coloritura vagamente palingenetica, ripromettendosi addirittura di rendere migliore il mondo in cui viviamo. Vasto programma!, avrebbe esclamato il generale De Gaulle, che pure qualche piccola “rivoluzione” nel suo tempo l’ha pure realizzata. La politica democratica, in verità, sul mondo può poco, ed è una fortuna che sia così. Sarebbe già tanto se essa pragmaticamente si proponesse di risolvere qualche piccolo problema ad esempio rimuovendo qualche ostacolo alla libera azione dei cittadini.
Ora, ad essere sincero il programma in ventisei punti stilato da M5S e Pd per il governo nascente, a me un po’ questa cattiva impressione fa. Capisco che bisognava trovare una base che accontentasse tutti, ma mi sembra che il minimo comun denominatore sia stato trovato in una prospettiva tanto ambiziosa da essere velleitaria.
Fa un certo effetto soprattutto il punto 5, che con il tono imperativo e contenutisticamente generico che è proprio di tutto il documento, recita che “occorre un Green New Deal, che comporti un radicale cambio di paradigma culturale e porti a inserire la protezione dell’ambiente tra i principi fondamentali del nostro sistema costituzionale. Tutti i piani di investimento pubblico dovranno avere al centro la protezione dell’ambiente, il ricorso alle fonti rinnovabili, la protezione della biodiversità e dei mari, il contrasto dei cambiamenti climatici. Occorre adottare misure che incentivino prassi socialmente responsabili da parte delle imprese. Occorre promuovere lo sviluppo tecnologico e le ricerche più innovative in modo da rendere quanto più efficace la “transizione ecologica” e indirizzare l’intero sistema produttivo verso un’economia circolare”.
Come spiegare questa enfasi per una causa così extrapolitica, tutto sommato? Beh, io penso che non si tratti di una semplice convergenza di interessi fra una certa visione utopistica, e appunto palingenetica, del Movimento Cinque Stelle (oggi forse non più temperata dall’anima più pragmatica e postideologica rappresentata da Di Maio), e la ricerca da parte del Pd di una dimensione progressista ma non più socialista, e diciamo pure liberal. Certo, questo elemento c’è. Ma più al fondo c’è una tendenza ideologica in atto in molta parte del mondo occidentale che potremmo definire come la ricerca, forse inconsapevole, di una religione secolare soft che sostituisca le vecchie religioni: quella tradizionale, ormai in declino da tempo (“Dio è morto”), e quelle secolari hard e dagli esiti tragici che nel secolo scorso si sono ad essa sostituite.
In quest’ottica la sacrosanta attenzione alla conservazione e difesa dell’ambiente diventa una vera e propria ideologia, un dogma e una chiave passpartout. Certo, essa dà una risposta di senso all’illusione di poter costruire il mondo futuro senza un “supplemento di anima”, secondo l’ottica proceduralistica del cosiddetto “patriottismo costituzionale” (Habermas). Essa tuttavia rischia anche di essere una coperta di linus rassicurante per chi è alla ricerca di certezze a buon mercato. E anche purtroppo un alibi per coprire spesso pratiche non proprio eticamente ineccepibili. Il tutto poi diviene ancora più problematico da un punto di vista liberale se le politiche messe in atto vanno ad accrescere e a consolidare quella “gabbia d’acciaio” di leggi, normative, regolamenti, che segna in Occidente il processo di razionalizzazione, omologazione e conformismo che è una cifra (non l’unica per fortuna) della modernità.
La sfida vera sarebbe allora concepire un ambientalismo che parta dal basso, dalle coscienze, che si espliciti in comportamenti naturalmente virtuosi e spontanei, e che soprattutto punti ad interventi politici precisi, concreti, limitati, puntuali. Che sia lontano egualmente dalla aggressiva deregulation anarco-capitalista come dall’ideologismo astratto dei liberal. Nel pensatore conservatore inglese Roger Scruton di questo ambientalismo non ideologico si trovano ampie tracce, come ci ha ricordato a più riprese su queste pagine Gennaro Malgieri. Ritornando all’Italia, c’è solo da augurarsi che l’anima personalistica, cristiana, moderata, umanistica, del presidente del Consiglio abbia la meglio sulle spinte palingenetiche di certa cultura mainsteam che ispira le forze politiche della sua nuova maggioranza.