Sembra che il modo migliore per imprigionare qualcosa che non riusciamo a comprendere sia dargli un nome: Millennials è il nome che abbiamo scelto per la moltitudine di ragazzi con storie diverse che hanno in comune l’aver raggiunto la maggiore età negli anni 2000. Spesso, tuttavia, non ci siamo limitati a darne una definizione neutrale, ma abbiamo preteso di racchiuderli in aggettivi limitati e limitanti, illudendoci così di averli capiti: “sdraiati” e “choosy” ne sono due luminosi esempi.
La forza di questo testo (Senza maestri. Storie di una generazione fragile di Anna Ascani, ndr) sta, invece, nel fatto che non pretende di spiegare chi sono i Millennials, ma li lascia parlare, li descrive attraverso le loro storie, le loro stesse parole – finendo per descrivere anche l’autrice, poco più che trentenne – e scopre nella fragilità il tratto costitutivo di una generazione. Non si tratta, tuttavia, di un testo autoassolutorio o sentimentalista ma, al contrario, di un atto politico animato dalla consapevolezza dell’importanza del ruolo di questa generazione nel governo delle sfide del nostro tempo. Dal cambiamento climatico alla digitalizzazione, dalle fake news all’educazione, fino alla questione fondamentale della debolezza della democrazia e della sfida tra società aperta e società chiusa: sono i ventenni e trentenni di oggi a dover immaginare una via possibile.
Ma ha davvero senso parlare di generazione? Non si rischia di perdere le specificità delle singole storie, generalizzando? Anna si chiede anche questo, ma conclude che il tratto che unisce chi è nato tra i primi anni ’80 e la fine degli anni ’90 è l’aver vissuto sulla propria pelle la più grande trasformazione degli ultimi secoli, dai tempi della prima rivoluzione industriale: l’avvento di Internet, dei social network, delle app, del 4.0. Quella dei Millennials emerge quindi come la sola generazione cresciuta nella nostalgia di qualcosa che ha semplicemente sfiorato, il mondo pre-digitale, e questo tratto la rende, secondo l’autrice, unica e degna di una speciale considerazione.
Una vera terra di mezzo, da esplorare per comprendere sia il passato che il futuro.
Quando nel 2017 il quarantaquattresimo Presidente degli Stati Uniti mi volle raccontare il progetto della Obama Foundation – finalizzato a costruire un network di giovani leader in tutto il mondo, facendo incontrare le eccellenze della politica, delle associazioni non governative, del giornalismo, della società civile in generale – compresi subito il valore di quell’intuizione: ci sono migliaia di giovani che sono cresciuti senza maestri, orientandosi per lo più da sé, tra tentativi ed errori. Oggi reclamano spazio – ed è giusto che lo abbiano, proporzionalmente alla loro passione, ai loro talenti e alle loro competenze – ma hanno ancora un gran bisogno di guide che li accompagnino, che non pretendano di indicare loro la strada o le modalità per percorrerla, ma si limitino ad aiutarli a rialzarsi quando cadono, che gli mostrino il valore del fallimento, che li aiutino ad apprezzare anche la fatica della costruzione paziente di un senso. Il valore della fragilità, appunto.
Nel tempo della fine dell’autorità occorre costruire una nuova prospettiva intergenerazionale, perché il mondo di oggi più che di padri e insegnanti ha bisogno di figli e maestri. Mi è più volte capitato di sottolineare come anche l’etimologia dimostri che un maestro è molto più di un ministro, di qualcuno che governa, che esercita un potere diretto: minister e magister condividono il suffisso comparativo – ter, ma il primo deriva da minus, minore, il secondo da magis, maggiore. Il maestro ha più importanza e responsabilità nella società di colui che governa la cosa pubblica.
Per questa ragione è particolarmente importante che tra le proposte politiche che chiudono questo libro spicchi il tema dell’educazione: non avremo cittadini consapevoli delle proprie responsabilità e prerogative, diritti e doveri se non investiamo sulla scuola in termini di risorse e di riconoscimento sociale. Avevamo cominciato a farlo col nostro governo, non a caso chi scommette tutto sull’ignoranza ha tagliato proprio lì.