Il primo valore di un Green new deal è sociale e non economico, per cui l’ambientalismo serve in primis per salvare l’ambiente e non per rispondere alla crisi economica. Ne è convinto Alfonso Pecoraro Scanio, ex ministro dell’Ambiente e presidente della Fondazione UniVerde, che Formiche.net ha raggiunto a Maratea, dove era impegnato in una conferenza con Jeremy Rifkin.
Il premier Conte da Atreju propone un patto governo-imprese per un Green new deal: che ne pensa?
Penso che il primo patto dovrebbe essere tra governo, Regioni e Comuni, perché sono gli enti locali i primi soggetti da coinvolgere. Non ci sarà mai un green new deal nazionale se non ve ne sarà uno comunale e regionale. È poi evidente che, a tutti i livelli, andranno coinvolte le varie realtà come le imprese, le istituzioni universitarie, il sistema delle cooperative, i sindacati e la società civile.
Quindi prima del valore economico di un Green new deal ne serve uno sociale?
Un cambio di paradigma di organizzazione anche della società. In pratica non bastano incentivi e disincentivi. Personalmente da ministro dell’Ambiente ho fatto un Green new deal dando gli incentivi per il fotovoltaico in Italia: fu l’unica grande operazione ecologica fatta sulle rinnovabili negli ultimi vent’anni. Quando nel 2007 analizzammo il conto energia, sulle rinnovabili eravamo a zero, oggi siamo tra i leader mondiali. Ma prima occorre altro.
Cosa?
Dichiarare l’emergenza climatica.
Ieri tutto il mondo era in piazza con Greta. E l’Italia?
Abbiamo scelto la data del 27 settembre per scendere in piazza, avremo varie manifestazioni anche noi. Ma per spiegare il ritardo culturale porto l’esempio di varie tematiche in cui noi agiamo con stop and go. Tra il 2006 e il 2008 siamo stati il Paese che ha guidato l’Ue nella strategia 20/20/20, facendo l’ecobonus, il car sharing e il conto energia. Poi per altri dieci anni abbiamo inseguito il nucleare con Berlusconi e le trivellazioni con Renzi. Diciamo che “ci siamo un po’distratti”.
La tassa su aerei, bibite e merendine può dare sola essere strategia?
Adesso, dopo un periodo di freno, scontiamo anche l’ultimo anno a trazione Lega, che è stato un anno non certamente ecologista. Mi auguro che ci siano miglioramenti, con il M5s che rafforza le proprie radici ecologiche, come dimostra la negoziazione per cooperare con il gruppo di Verdi europei.
Cosa si aspetta dal governo?
Che il Green new deal sia davvero green. Ovvero con determinati contenuti.
Lunedì all’Onu sarà lo stesso Conte a presentare l’agenda verde del governo: quali crede dovrebbero essere le priorità?
Impegnarsi nella dichiarazione per l’emergenza climatica che, a quanto mi risulta, il Comune di Roma farà il prossimo 24 settembre.
Campidoglio più veloce del governo?
L’emergenza climatica da dichiarare non è solo un semplice fatto simbolico ma, come ha spiegato oggi a Maratea Jeremy Rifkin, è conseguenza di un new deal. Il green new deal non è uno strumento climatico per rispondere alla crisi economica, ma lo strumento per rispondere alla crisi climatica planetaria. L’obiettivo principale deve essere azzerare la Co2, non dare solo incentivi alle industria green perché da soli non bastano.
Nel 2007 da ministro dell’Ambiente chiuse i lavori della Conferenza Nazionale sul cambiamento climatico alla Fao con lo slogan “insieme si può”. Oggi cosa è cambiato?
Quella è stata la più grande conferenza sul clima organizzata in Italia e una delle maggiori in Europa da uno Stato membro. Il problema è che allora fu davvero un record, mentre oggi dopo 12 anni vediamo che una priorità è stata abbandonata, anche a causa della crisi economica. Mi spiego: non vi è stata alcuna capacità di indirizzo politico. Quella conferenza in realtà recepiva gli allarmi della comunità scientifica e, se si fosse intervenuto col decalogo che indicammo agli allerta-meteo, avremmo evitato molti morti. Come nei casi delle tempeste tropicali che si definiscono tali, e non semplicemente maltempo: così i cittadini possono rendersi conto del tipo di pericolo.
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