Gli ultimi arrivati sono quelli del Kenya. Emessi un paio di giorni fa, servono a finanziare la costruzione di residenze universitarie eco compatibili a Nairobi. A livello globale, i green bond valgono 178,6 miliardi di dollari. In Europa i casi scuola di Bond verdi emessi da governi sono ancora quelli della Polonia e, soprattutto, della Francia. Se il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri vorrà veramente adottare green bond in tempi brevi dovrà rifarsi all’esempio di Parigi.
Nel 2017, senza aspettare la normativa europea, il governo francese ha emesso 7,5 miliardi di obbligazioni verdi. Un successo, visto che le richieste sono state il triplo dell’offerta. Il rendimento era in linea con quello di titoli di Stato ordinari. La disponibilità degli investitori, nella gran parte famiglie, c’è, come dimostrano i tanti casi di obbligazioni verdi emesse da privati, ad esempio banche, sperimentate con successo anche in Italia. O i risultati in questo campo della Bei, la Banca europea degli investimenti, che emette green bond dal 2007. Grande interesse, anche se l’informazione sullo strumento è ancora scarsa.
I green bond sono obbligazioni del tutto simili a quelle ordinarie, ma con delle caratteristiche precise per quanto riguarda la destinazione della raccolta. Devono essere finalizzati a progetti ispirati a obiettivi che l’Icma (International capital market association) ha riassunto in cinque punti: la mitigazione del cambiamento climatico, l’adattamento al cambiamento climatico, la conservazione delle risorse naturali, la preservazione della biodiversità, la prevenzione e il controllo dell’inquinamento.
Sono principi non vincolanti, che però servono da guida. La Francia si è appunto ispirata alle linee dell’Icma, senza aspettare il piano europeo.
Il dilemma del governo Conte due è proprio questo. Aspettare Bruxelles o prendere un’iniziativa autonoma in tempi più brevi. Le parole spese dal ministro dell’Economia sembrerebbero l’annuncio di bond italiani, senza aspettare l’Europa. Progetti pubblico/privato finanziati dalla Bei e che poi siano “acquistati in maggiore quantità dalla Bce”. Una specie di Quantitative easing verde, insomma.
Ma il problema non è tanto l’accoglienza positiva del mercato. I titoli di Stato italiani trovano sempre una collocazione, anche perché ultimamene sono tra i pochi a garantire un rendimento. Lo sapeva bene anche il governo Conte I, tanto che anche l’ex ministro dell’Economia Giovanni Tria stava lavorando a qualcosa di simile al green bond. Erano obbligazioni per la tutela del territorio. L’esecutivo gialloverde aveva chiesto a Bruxelles di scorporare questo tipo di investimenti dal calcolo del deficit.
Anche l’obiettivo del governo giallorosso, la vera priorità che porta Gualtieri a insistere sui green bond, è lo scorporo dell’indebitamento verde dal deficit. Ne ha parlato lo stesso ministro Pd, ma anche il leader M5s Luigi Di Maio. Obiettivo ufficiale indirizzare gli investimenti verso investimenti green e ottenere che parte dei titoli del debito pubblico non pesino sul giudizio dell’Europa sui conti italiani.
Ma potrebbe esserci anche un vantaggio contabile che va oltre la protezione dell’ambiente o gli investimenti. Sulle tax expenditures il piano numero uno è quello di tagliare sussidi dannosi per l’ambiente, obiettivo difficile viste le inevitabili difficoltà che comporterebbe un aumento delle imposte sui carburanti, sulle attività industriali inquinanti.
Una soluzione potrebbe essere quella di non tagliare i sussidi fiscali cattivi, ma ottenere dall’Europa che gli altri sussidi, quelli “buoni”, siano considerati investimenti green quindici esclusi dal deficit. Se passasse questo principio e se passasse integralmente, si potrebbero finanziare con obbligazioni verdi spese fiscali già a bilancio per 15,2 miliardi di euro. Abbastanza per fare tornare i conti della manovra.