Se Huawei fosse discriminata sulle nuove reti 5G a seguito del confronto globale tra Washington e Pechino “lascerebbe l’Italia, quindi mille impiegati dovrebbero trovarsi un altro lavoro”.
A lanciare l’avvertimento è stato oggi Luigi De Vecchis (nella foto), presidente di Huawei Italia, in audizione nelle commissioni Affari costituzionali e Trasporti della Camera sul decreto Cybersecurity.
LA BATTAGLIA GEOPOLITICA
Incalzato dai deputati, il manager del colosso di Shenzhen ha commentato il pressing del segretario di Stato americano Mike Pompeo sul 5G, che nel corso della sua visita in Italia è tornato ad auspiscare che Roma e altre capitali non affidino i proprio dati ad aziende che potrebbero condividerli con il Partito comunista cinese. “Non possiamo”, ha detto De Vecchis, “dar credito a un signore che viene qui a dire ‘fuori Huawei dalla p.a.’, per noi è un grosso danno”. Aggiungendo che la telco sarebbe “un capro espiatorio” della “battaglia geopolitica in corso tra Usa e Cina”.
LO STATEMENT DI SHENZHEN
Parole, queste, ridimensionate poi in serata con uno statement del colosso di Shenzhen, nel quale la compagnia ha evidenziato che “Huawei non ha alcuna intenzione di lasciare l’Italia, che è uno dei mercati più importanti in Europa e nel mondo”, nel quale è attiva da 15 anni. E che “le dichiarazioni del Presidente facevano riferimento a un caso teorico e non hanno alcuna connessione con le politiche di cyber security che il Governo metterà in atto”.
L’azienda ci ha tenuto dunque “a confermare gli investimenti” nella Penisola e il supporto “a tutti i passi necessari per proteggere la sicurezza nazionale”.
CHE COSA NON PIACE A HUAWEI
Balzata assieme alla ‘gemella’ Zte (ascoltata subito dopo) all’attenzione mondiale dopo le accuse statunitensi di legami col governo di Pechino, la compagnia della Repubblica Popolare ha evidenziato quali sono le parti che non le piacciono del nuovo decreto che fa riferimento ai poteri speciali offerti dal Golden Power anche per le reti e istituisce un ‘perimetro’ di sicurezza nazionale cibernetica.
Innanzitutto la telco chiede che si faccia riferimento, a livello europeo a standard internazionali e norme comuni. In secondo luogo, vorrebbe sapere quali sono le circostanze che creano pregiudizio alla sicurezza nazionale, definizione usata dal decreto per motivare l’esclusione di un’azienda dai fornitori.
Poi una critica. “L’adozione di misure specifiche che impongono la sostituzione di reti 5G che hanno già adottato le prescrizioni dettate dalla attuale normativa sul Golder Power crea un quadro di incertezza”, ga ribadito De Vecchis. “Una volta che ho definito un piano di investimenti infatti devo tornare su decisioni già prese e modificare qualcosa che era già appianato e questo crea, ancora una volta, soprattutto se viene indirizzato su Paesi non Ue come nel nostro caso, conseguenze forti sul rallentamento degli investimenti sul 5G e sulla competitività del Paese, con costi aggiuntivi per gli operatori”.
LE CRITICHE
Il manager ha poi provato a rassicurare i deputati sul tema della sicurezza, spiegando che Huawei spiegando che l’azienda costruisce infrastrutture sulla quale transitano dati crittografati e che sarebbero poi gli Over-the-Top a conservarli e gestirli. Parole che non hanno però convinto il deputato di Fratelli d’Italia Federico Mollicone, responsabile Innovazione del partito, insoddisfatto delle risposte ricevute sia da Huawei sia da Zte (società che, ha spiegato in audizione il direttore public affairs per l’Italia Alessio De Sio, è controllata col 51% da Pechino). Le due compagnie della Repubblica Popolare, commenta Mollicone, “devono chiarire i loro rapporti con lo Stato cinese. Difendiamo i livelli occupazionali italiani ed europei, ma Huawei Italia non può attaccare il segretario di Stato statunitense che, nel suo viaggio in Italia, ha sollevato un legittimo alert sulla sicurezza nazionale italiana e dell’infrastruttura di intelligence dell’alleanza atlantica”.
Al centro della critica (è intervenuta chiedendo chiarimenti su questioni collegate anche la parlamentare di Forza Italia Federica Zanella) c’è soprattuto il fatto che “le aziende cinesi”, sottolinea il deputato, “evidenziano uno strano rapporto fra business e politica, rafforzato dalla legge sull’intelligence cinese del 2017, che obbliga le aziende a trasmettere le informazioni ai vertici militari. Huawei e Zte, connesse in vario modo alle gerarchie cinesi, smentiscano le ingerenze dello Stato ed eventuali interferenze di enti periferici, compresa l’ambasciata”.