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Handke e Tokarczuk, due Nobel per la Letteratura che non s’incontrano. L’analisi di Malgieri

Due Nobel per la letteratura, ma non al prezzo di uno. Ognuno avrà quel che gli spetta. Ne sono stati attribuiti due perché l’anno scorso saltò. Per motivi di decenza e di opportunità. Perciò i vincitori di quest’anno, la polacca Olga Tokarczuk, nata nel 1962 (premiata per il 2018) e l’austriaco Peter Handke, nato nel 1942, (premiato per il 2019) dovranno far dimenticare lo scandalo che portò, per la seconda volta nella storia del premio (la prima nel 1950), a rinviare all’anno successivo l’attribuzione. I nomi, che raramente non fanno storcere la bocca, sono ragguardevoli. E possono archiviare lo spiacevole contrattempo di dodici mesi fa.

In breve: l’anno passato, nell’ambito dell’Accademia svedese, degli scandali sessuali si sovrapposero alla letteratura e mandarono poesie e romanzi a prendersi una pausa lontano dal fetore che si levava a Stoccolma. Diciotto donne accusarono di molestie sessuali il francese Jean-Claude Arnault, marito dell’allora membro della Commissione, la poetessa e scrittrice Katarina Frostenson, che gestiva un progetto culturale finanziato dalla stessa Accademia svedese. Nello scandalo restò coinvolta anche la principessa ereditaria Victoria, adescata, sembra, da Arnault il quale è stato poi condannato per stupro, mentre la Frostenson costretta a lasciare la Commissione, insieme ad altri giurati a conoscenza degli eventi. La Frostenson è stata accusata pure di aver coperto le molestie sessuali del marito e di aver rivelato i nomi dei possibili vincitori per questioni di vile denaro. Insomma, conflitti sessuali e conflitti d’interessi. Ce n’è abbastanza per immaginare una storia letteraria da… Nobel.

Un anno dopo Handke e la Tokarczuk cancellano la brutta parentesi. Sono due scrittori di fama mondiale, più il primo che la seconda in verità. Entrambi conosciuti non soltanto negli ambienti letterari ristretti, come è accaduto di frequente negli ultimi anni, ma con una caratura di grande livello, ben oltre i confini dei loro Paesi.
Handke, carinziano di nascita e “prossimo”, almeno letterariamente, del conterraneo di Robert Musil che ebbe i natali a Klagenfurt, ma per parte di madre di origine slovena, si è dedicato alla letteratura in maniera esclusiva e assorbente, al punto di non laurearsi vivendo lunghi periodi nella sua casa sulla collina che guarda la riva destra della Salzach, il fiume che bagna Salisburgo e si getta poi nell’Inn.

Guardando la sobria villetta dalla fortezza che domina la città mozartiana, si ha quasi l’impressione che l’ “eremita” che l’abita tragga ispirazione per i suoi scritti dall’aura armoniosa della vallata. Da qui, probabilmente, la maturazione del suo spirito solitario votato all’introspezione della quale è prova la sua scrittura intensa e minimale, lontano dai canoni austriaci classici e più somiglianti a quelli della letteratura tedesca del Secondo dopoguerra. La descrizione di personaggi e paesaggi e situazioni “minime” ne fanno un raccontatore “essenziale” paragonabile al francese Alain Robbe-Grillet.

A parte il provocatorio “Insulti al pubblico”, il romanzo che lo ha consacrato è “Prima del calcio di rigore”, dal quale il cineasta tedesco Wim Wenders trasse l’omonimo film e sempre con Wenders, Handke collaborò alla sceneggiatura de “Il cielo sopra Berlino”. Resta dello scrittore austriaco un cammeo che s’insinua della pellicola di Wenders, un lied, splendido come può esserlo il cielo di Berlino in alcune giornate particolari.

Eccolo: “Quando il bambino era bambino,/era l’epoca di queste domande./Perché io sono io, e perché non sei tu?/Perché sono qui, e perché non son lì?/Quando comincia il tempo, e dove finisce lo spazio?/La vita sotto il sole è forse solo un sogno?/Non è solo l’apparenza di un mondo davanti al mondo/quello che vedo, sento e odoro?/C’è veramente il male e gente veramente cattiva?”.

Il male e la gente cattiva, Handke li avrebbe visti in faccia durante i bombardamenti sull’ex-Jugoslavia. Realizzò tre lunghi e struggenti reportage, appassionati e drammatici come solo chi si sente parte di quella terra martoriata può dispiegare senza minimamente curarsi delle inevitabili accuse che pioveranno su di lui. E “Infelicità senza desideri”, dedicato alla madre suicida nel 1971, certamente ha avuto la sua parte nell’indurlo a schierarsi con gli aggrediti dalla prima “guerra umanitaria” scatenata dall’Occidente.

La sua vastissima produzione è incentrata nella sensucht mitteleuropea, così come i saggi, per quanto introspettivi, risentono della sua doppia essenza austriaca e slava. Ma è la poesia – meno conosciuta in Italia – a conferire un valore tutto particolare all’opera di Handke che risente della sua nascita a Griffen, piccolo centro della Carinzia, dove il respiro fortissimo della natura entra nella pelle e nell’anima di chi ci vive, figurarsi in uno scrittore dalla sensibilità spiccata, che sembra inconsapevolmente volteggiare tra i cammini rurali e boschivi di David Thoreau e di Hermann Hesse.

La scrittrice polacca Olga Tokarczuk, l’altra vincitrice, ha 57 anni, ed è stata scelta “per la sua immaginazione narrativa che con passione enciclopedica rappresenta il superamento dei confini come una forma di vita”.

Il suo primo libro è una raccolta di poesie pubblicata nel 1989, mentre il suo romanzo d’esordio che ne rilevò le indiscusse capacità letteraria è del 1993. In Italia è stata pubblicata per la prima volta nel 1999 dalla casa editrice da E/O con il libro “Dio, il tempo, gli uomini e gli angeli”, poi ripubblicato da Nottetempo nel 2013 con il titolo “Nella quieta del tempo”. Gli altri suoi libri pubblicati in Italia sono “Casa di giorno, casa di notte”, “Che Guevara e altri racconti”, “Guida il tuo carro sulle ossa dei morti”.

La grande ribalta internazionale l’assaporò nel 1915 quando vinse il Man Booker International Prize, l’importante premio letterario dedicato alla narrativa tradotta in inglese nel Regno Unito, con I vagabondi , pubblicato poi in Italia da Bompiani nel 2018. I vagabondi è un romanzo che mescola realtà e finzione e racconta, tra le altre, la storia della sorella di Fryderyk Chopin, che portò il cuore del musicista polacco da Parigi a Varsavia, quella dell’anatomista olandese scopritore del tendine di Achille e di un bambino nigeriano che fu introdotto alla corte imperiale austriaca come mascotte e dopo la morte impagliato per essere esposto: il nomadismo è il tema comune di tutte le storie della Tokarczuk.

Scelte, quella di Handke e della Tokarczuk, come è facile notare, che non hanno una caratteristica comune. In nulla i due scrittori si assomigliano.  Non conosciamo le logiche che la commissione dell’Accademia svedese segue nel determinare le vittorie. È fatale, come da sempre accade, che si critichino, si biasimino o si applaudano. La cosa migliore da fare è leggere gli autori premiati e farsi un’idea delle loro opere. La scrittura è sempre continua fonte di sorprese. Soprattutto quando alcuni autori si conoscono poco o male. Ed il Nobel dopotutto è un gioco di società che va avanti dal 1901. Tra polemiche, scandali, irritazioni e natemi. Mai si è registrata l’unanimità del pubblico, né tanto meno dei giurati. Perché aspettarlo dopo centodiciotto anni?


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