Guido Morselli è stato lo scrittore più “rifiutato” del Novecento. E poi tra i più amati. Infine, è diventato quasi una “reliquia” pagana. E tutto grazie ad editori superficiali e insensibili. Fino a quando, dopo la sua morte, non spuntò il genio di Roberto Calasso, dominus di Adelphi, a trarlo dall’oblio. E lo scrittore “negletto” diventò lo scrittore “incompreso”. Uno dei maggiori dell’epoca nella quale furoreggiavano mediocri esibiti da giornali e case editrici come fossero annunciatori di un nuovo verbo. Facevano il verso a se stessi e lodavano incessantemente l’establishment. Nomi non se ne fanno: sia pace alle loro pallide anime di agit prop piuttosto che di letterati e a coloro che li hanno spremuti come limoni a maggior gloria di un progressismo senza miti e senza idee.
Morselli non faceva parte delle “covate” salottiere. Era un solitario. Scriveva per esaudire un’esigenza interiore. Non aveva debiti da onorare, né ambizioni da coltivare, a parte la coerenza che lo allontanava da tutti coloro che non lo comprendevano e da chi non capiva il suo linguaggio, la sua eleganza, il suo stile umano e letterario, la sua dissipazione intellettuale nei pellegrinaggi tra le stazioni dell’amore e della narrativa. Era un “uomo contro”, non certo per scelta, ma per intima vocazione. Ed i suoi romanzi lo testimoniano ampiamente.
Nella patria delle lettere Morselli era una reprobo, insomma. E quando quello che doveva essere il suo mondo se ne accorse, dopo l’imprevedibile suicidio, pianse lacrime di coccodrillo. Per quanto nessuno mai l’abbia ammesso esplicitamente tra i tenutari del grande bordello dell’intellighentia, dal 31 luglio 1973, giorno in cui pose fine alla sua avventura terrena, a sessantuno anni, Morselli è stato amato (e da alcuni perfino invidiato) in silenzio. Tra i pochi che ne parlavano esplicitamente come di uno dei più grandi scrittori contemporanei, ricordo Mario Pomilio e Fausto Gianfranceschi. Erano due letterati credenti, che avevano fede nell’aldilà, che riconoscevano le anime al primo sguardo e le pagine di Morselli erano piuttosto eloquenti nel chiarire chi le aveva vergate con la sofferenza dell’uomo che cerca se stesso.
Non erano i circoli politico-intellettuali, le pagine grondanti miele a buon mercato, gli editori compiacenti disposti ad esaltare ogni sbadiglio purché fosse “politicamente corretto” (diremmo oggi) che Morselli amava frequentare. Aveva un suo ethos dal quale non era disposto a staccarsi per nessuna ragione al mondo. Ed i suoi libri lo riflettono con una strepitosa continuità, dal primo all’ultimo. Unitamente ad una estetica della parola che è bellezza pura, nitida e raggelante a volte, calda in altre occasioni come un sentimento coltivato e a lungo e all’improvviso deturpato dall’arrivo di indecifrabili bufere.
Dire di Morselli, oggi, a quarantasei anni dalla morte, sembra quasi irreale. Eppure osservo uno ad uno i suoi libri che stanno alla destra della mia scrivania, allineati sullo scaffale secondo un preciso ordine cronologico, che non sfoglio più da chissà quanto tempo, e mi domando che cosa ci trovai in quel suicidio del quale appresi dai giornali pochi giorni dopo. Quasi niente. Avevo letto qualche saggio trovato sulle bancarelle degli antiquari su realtà e fantasia, poche altre citazioni sparse qua e là; ne avevo sentito parlare da amici più avanti di me con gli anni che mi raccontavano di questo scrittore “fantasma” che bisognava pubblicare a tutti i costi, ma nessuno sembrava disposto all’impresa. Il tempo della giusta riparazione è poi arrivato. Troppo tardi, per lui. Non per noi che abbiamo sorbito le sue parole così intense da scoraggiarci a provare ad imitarlo: eravamo giovani, e si può capire. Ma Morselli ci entrò dentro con la forza della sua passione sublimata da una morte consapevole, come un antico stoico.
La sua eredità morale l’ha raccolta una giovane studiosa che da sempre indaga Morselli, se n’è “impadronita” fino a dedicargli la propria esistenza intellettuale, lo ama senza riserve eppur sfuggendo al facile fanatismo grazie alla prodigiosa intelligenza che la anima e alla vasta cultura che la muove nella ricerca delle ragioni esistenziali e letterarie dello scrittore: Linda Terziroli, animatrice instancabile del “morsellismo” (se così si può dire), ha scritto un libro meraviglioso – ed il giudizio è tutt’altro che inopportuno o esagerato – legando la vita e la morte del romanziere alle sue opere, attraversando la vicenda umana di un personaggio tanto eccezionale quanto indecifrabile, immergendosi nelle fonti disponibili: i documenti, senz’altro, ma soprattutto le testimonianze dei familiari, a cominciare dal fratello minore, oggi scomparso, e vari amici ed amiche che hanno condiviso stagioni intense con Morselli.
Un pacchetto di Gauloises (Castelvecchi, pp.283, € 22) è il frutto di una straordinaria e stordente penetrazione nell’universo morselliano al punto di delinearne non soltanto il carattere, la “cifra” stilistica, i rapporti con il “mondo esterno”, ma, come se lo avesse conosciuto davvero, i contorni della sua persona. Ecco un assaggio: “Il colore del cielo al tramonto, il sorriso delle donne, il foglio di carta infilato nella Olivetti, la sigaretta in bocca, i denti incisivi separati da una fessura, lo sguardo seducente, i pantaloni di fustagno, le stringhe di spago per allacciarsi le scarpe. Guido mangiava pochissimo e faceva molte passeggiate nei suoi amati boschi, si gettava nella lettura come un mistico, rispondeva per le rime, diceva quasi sempre la verità, era fissato con il suo peso corporeo (e con il peso dell’anima), faceva del bene e del male, si dimenticava di se stesso e sapeva essere egoista fino alla cecità. Teneva fede agli ideali. Cercando l’incoerenza nei sistemi di pensiero. Si dannava per trovare delle risposte alle domande esistenziali. E per trovare uno straccio di editore”. Questo è il punto decisivo.
L’autore – acclamato a tempo scaduto – di Roma senza Papa, cronache di fine ventesimo secolo; Contro-passato prossimo, Divertimento, Il comunista, Dissipation H.G., Un dramma borghese, Incontro col comunista, Uomini e amori, insieme con i saggi su Proust, su Fede e critica, e su altre materie, raccolti postumi, sempre a cura di Linda Terziroli, (coadiuvata da Alessandro Gaudio), dal titolo Una rivolta e altri scritti, che ne ha curato anche il vasto Epistolario – ottenne tra gli altri il rifiuto da parte di Italo Calvino nel 1965, del quale nel libro la Terziroli dà ampia documentazione, di pubblicare per Einaudi il romanzo Il comunista , uno dei suoi più intensi e pregnanti, con la motivazione secondo la quale “ogni accento di verità si perde è quando ci si trova all’interno del partito comunista. lo lasci dire a me che quel mondo lo conosco, credo proprio di poter dire, a tutti i livelli. Né le parole, né gli atteggiamenti, né le posizioni psicologiche sono vere. Ed è un mondo che troppa gente conosce per poterlo “inventare”. Chiosando infine: “Spero che Lei non s’arrabbi per il mio giudizio”.
Morselli replicò, accettandone sostanzialmente la critica, chiedendogli: “La prego: quando ritorna a Milano me lo faccia sapere, verrò a salutarla e per me sarà incontrare un amico. Per non essere, a Lei, del tutto uno sconosciuto: sono emiliano, autodidatta, vivo solo su un piccolo pezzo di terra dove faccio un poco di tutto, anche il muratore; politicamente sono in crisi, con quasi nessuna speranza di uscirne”. La Rizzoli, nel 1966, infine, accettò di pubblicarlo e gli sottopose le bozze per la correzione, ma il nuovo direttore editoriale annullò tutti i programmi e il romanzo restò fermo in archivio.
Giulio Nascimbeni, a lungo responsabile delle pagine culturali del Corriere della sera, sul quotidiano di via Solferino scrisse: “La prima tentazione è di dire che c’è stato anche un Gattopardo del Nord. Viveva in luoghi profondamente lombardi, tra Gavirate e Varese. Scrisse migliaia di pagine. Sperò a lungo che gli editori si accorgessero di lui. È morto il 31 luglio dell’anno scorso. Adesso esce un suo romanzo, Roma senza papa, pubblicato dalla Adelphi, e se ne resta attoniti, come davanti a un frutto raro e inimmaginabile”.
Già, “attoniti”. Di fronte allo sperpero consumato ai danni di un’intelligenza sublime e di un esteta come pochi ce ne sono stati nel Novecento. Ed anche la sua poliedricità venne bandita da un pregiudizio, forse. O ancora peggio dalla noncuranza che nel Varesotto s’aggirava un uomo con una valigia piena di sogni che avrebbe voluto regalare a chi gli si fosse accostato. In quella valigia c’era di tutto, come testimoniano gli scritti postumi. C’era l’anticipatore e il “rivoluzionario” a suo modo; c’erano reportage e interventi ispirati dalla devastazione urbanistica, recensioni e profili, interpretazioni filosofiche (interessantissime quelle di Barthes e di Spirito) e anticipazioni di romanzi. Perfino il progetto di un giornale come La Prealpina, al quale avrebbe collaborato, per Morselli un evento degno di essere descritto come un racconto perché “il giornale – opera intelligente e umana come nessun’altra opera dell’ingegno e del braccio – vi rappresenta e vi esprime”.
Linda Terziroli, con amore e straordinario spirito di immedesimazione nel mondo morselliano, offre attraverso il fil di fumo di una interminabile Gauloises l’interpretazione più autentica di un grande scrittore, tra i più grandi del “secolo breve” che per lui fu brevissimo. E di quella brevità ne era consapevole. La Terziroli riporta in chiusura: “Dal testamento, 19 febbraio 1964: ‘Alla mia morte nessun avviso ne sarà dato sui giornali, né mediante comunicazioni o partecipazioni personali. Il funerale avrà luogo nella maniera più semplice e disadorna, senza alcuna solennità o funzione ecclesiastica, senza fiori né corone’ o simili”. In aggiunta, il 15 dicembre 1964, scrive: “Subito dopo il mio decesso, dispongo che un medico mi pratichi una iniezione al cuore (cuore) di tal natura da poter determinare di per sé la morte. Ciò a scongiurare la possibilità di inumazione del vivente – in caso di morte solo apparente, inoltre la salma verrà immessa nel feretro non prima di 60 (sessanta) ore intere da quella in cui detta iniezione sarà stata fatta – e ciò anche in deroga di eventuali prescrizioni contrarie di polizia mortuaria. Tali mie disposizioni sono tassative”.
Cos’altro aggiungere? Morselli ha vissuto con la morte accanto. È stata la sua compagna. La letteratura l’ha amata, la morte l’ha aspettata senza mai cedere alla tentazione di esorcizzarla. Le parole lo hanno soccorso nella disperazione che celava, i sentimenti li ha sparsi tra le donne che ha amato. Un’ispirazione totale la sua nel segno della caducità. I romanzi talvolta raccontano molte vite ed una sola fine, peraltro annunciata. È stato il caso di Guido Morselli.