Con l’incursione turca in Siria settentrionale, è emersa l’urgenza di occuparsi del problema dei cittadini europei detenuti come foreign fighter dello Stato islamico dalle forze curde.
Sono centinaia i cittadini con passaporto comunitario unitisi all’Isis e che sono al momento trattenuti nel territorio, il cui futuro è profondamente incerto.
IL DILEMMA EUROPEO
Naturalmente, i governi del Vecchio continente sono estremamente riluttanti a rimpatriarli e provano a farli processare in loco. Tuttavia c’è il rischio, non trascurabile, che molti di essi possano sfuggire o cadere nelle mani del regime siriano, con conseguenze imprevedibili. Che fare allora?
UNA SCELTA COMPLESSA
Secondo un nuovo report realizzato da Anthony Dworkin per lo European Council on Foreign Relations, i Paesi europei dovrebbero iniziare a riportare a casa i propri cittadini (una richiesta fatta anche dal presidente americano Donald Trump). La scelta è comunque da considerare complessa, spiegano altri esperti come Lorenzo Vidino della George Washington University, perché nessuna nazione occidentale sarebbe al momento attrezzata dal punto di politico, vista giuridico e securitario.
L’ANALISI DELL’ECFR
Ad ogni modo il documento dell’Ecfr, intitolato emblematicamente ‘Beyond good and evil: Why Europe should bring Isis foreign fighters home‘, esamina questa possibilità e si concentra sulle opzioni alternative che i governi europei hanno preso in considerazione, ritenendole “tutte impraticabili” o con “gravi difetti”.
LE CONCLUSIONI
Per l’autore dello studio, il rimpatrio dei sostenitori da parte dei Paesi europei “offrirebbe numerosi vantaggi, tra i quali: distinguere tra le diverse categorie di sostenitori europei dell’Isis; stabilire le loro responsabilità per reati specifici attraverso processi equi e regolati; utilizzare le informazioni in loro possesso per conoscere di più” sullo Stato islamico.
Secondo Dworkin, che considera forse “esagerate” la “potenziale minaccia che i rimpatriati potrebbero rappresentare, e le difficoltà nel perseguirli”, il rimpatrio “sarebbe il modo più rapido per far uscire i detenuti dalla situazione di instabilità in cui si trovano attualmente”. Ciò, spiega, “limiterebbe sia il rischio di perdere il controllo dei sostenitori convinti dell’Isis, sia il danno provocato a centinaia di bambini dovuto al ritardo del rimpatrio”.
Le operazioni di rimpatrio, evidenzia il report dell’Ecfr, potrebbero essere agevolate “in caso di cessate il fuoco”, che – se i governi europei si organizzassero con precisi – potrebbero essere svolte “in modo controllato, dando ai propri servizi nazionali la possibilità di iniziare i processi”.
Tra le possibilità, Dworkin intravede quella di “organizzare un’azione coordinata con i detenuti di diversi Paesi europei, per aiutare quei governi che non dispongono di risorse sul campo e per ridurre al minimo il contraccolpo politico”.
Per fare questo, evidenzia l’autore del documento, è essenziale che esecutivi del Vecchio continente dimostrino “coraggio politico”. Prima o poi, nonostante la riluttanza, crede lo studioso, “dovranno agire, in quanto i costi della loro attuale politica sono sempre più visibili. Nessun altro approccio sembra fattibile o privo di inconvenienti. Ritardare ulteriormente sarebbe irresponsabile e rischierebbe solo di creare ulteriori problemi”. Ma, come detto, non mancano gli scettici.