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C’è lo zampino russo dietro i droni (italiano e Usa) caduti in Libia?

Oggi Africom, il comando del Pentagono che copre l’Africa, ha fatto sapere con una nota stampa di aver perso il controllo di un velivolo senza pilota sopra a Tripoli, impegnato in attività di intelligence. È il secondo episodio del genere, dopo che tre giorni fa ne è precipitato uno italiano. Si tratta di incidenti ancora sotto investigazione secondo le fonti ufficiali, ma non è escluso che qualcuno abbia dato in mano alle forze a terra — gli haftariani in questo caso — sistemi in grado di disturbare/abbattere i droni. E forse si è trattato di errori di bersagliamento: italiani e americani non erano obiettivi voluti.

Si tratta di fatti comunque piuttosto gravi, che riportano forte l’attenzione su quello che sta succedendo in Libia, oltre alle vittime prodotte dalla guerra civile. Secondo diverse fonti arrivate in forma confidenziale ai media, la Libia ieri sarebbe stata l’argomento clou dell’incontro a Washington tra il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, e il ministro degli Esteri emiratino, Abdullah bin Zayed. Il contatto tra Usa e Uae sulla crisi libica è importante. Soprattutto nella forma espressa da Pompeo in un tweet che conferma le informazioni non ufficiali uscite nei giorni precedenti. Tre i temi, tutti collegati: la presenza russa, la necessità di una de-escalation e del cessate il fuoco, il ritorno al percorso di soluzione politica.

Gli americani da almeno due mesi hanno riattivato un’iniziativa in Libia, mentre il signore della guerra dell’Est, Khalifa Haftar, ha messo sotto attacco Tripoli, dove da tre anni fa l’Onu ha facilitato l’installazione del Governo di accordo nazionale (Gna), guidato ancora da Fayez Serraj. Haftar vuole prendersi il Paese e diventarne il nuovo rais, ma la sua campagna militare è lenta, e in sette mesi non ha prodotto sostanziali guadagni territoriali. Anzi, subisce arretramenti costanti, seppur minimi, in punti approfonditi; ieri un convoglio delle forze anti-Haftar (sostanzialmente le milizie di Misurata) è stato segnalato all’Agenzia Nova nella zona di Sebha, molto a sud-est di Tripoli, diretto verso il campo pozzo di Sharara, per ora controllato dagli haftariani.

Haftar, che chiama ambiziosamente la sua milizia Esercito nazionale libico (Lna), riceve aiuti diretti dagli Emirati Arabi. Abu Dhabi fornisce il supporto aereo (piloti compresi) che anche in queste ore sta martellando l’hinterland meridionale di Tripoli. Inoltre, insieme all’Arabia Saudita, ha dato l’ok all’inizio dell’offensiva anche attraverso una raccolta fondi che sarebbero dovuti servire a comprare il lasciapassare di alcune delle milizie tripoline (cosa che non ha funzionato) e l’aiuto di contractor militari centroafricani.

E a proposito di contractor, secondo rivelazioni di stampa recenti, che confermano informazioni più datate, Haftar adesso sarebbe aiutato sul campo da mercenari russi. Cecchini, ex forze speciali, ben armati, che nel quadro naïf e disomogeneo degli scontri libici fanno la differenza. Fatto in più: due droni caduti in pochi giorni: e se a tirar giù il velivolo americano è quello italiano fossero stati jammer russi fornito ai contractor? E se i prossimi bersagli fossero aerei pilotati, magari civili?

Se Washington può tollerare le dinamiche che gli Emirati giocano (insieme all’Egitto) dietro Haftar, certamente non può permettersi di chiudere un occhio sulle penetrazioni russe. Ed ecco che, come ribadito ieri da Pompeo, una settimana fa il dipartimento di Stato ha chiesto lo stop dei combattimenti all’uomo forte della Cirenaica e criticato Mosca perché starebbe sfruttando il conflitto libico per i propri interessi — come fatto in Siria.

Gli Emirati ieri sono stati messi a un bivio, posizione resa pubblica su cui però gli Usa potrebbero essere impegnati da un po’. Abu Dhabi sembra più interessata a spostare adesso la questione sul campo politico, per far valere ai negoziati l’impronta territoriale conquistata da Haftar e consolidarla come guadagno di influenza sul futuro del paese.

 

 


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