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Perché la plastic tax non è utile all’economia del Paese. L’analisi di Ciotti

Di Antonello Ciotti

Negli anni del miracolo economico che ha permesso all’Italia di conquistare maggior benessere, la plastica è stato un vero ascensore sociale. I diversi beni di consumo durevoli che hanno segnato la modernizzazione della vita quotidiana (la lavatrice, il televisore, la lavastoviglie ad esempio) agli inizi degli anni 60 erano, infatti, posseduti da un terzo della popolazione, mentre negli anni 90 erano presenti nella quasi totalità delle famiglie (dati Istat). È la democratizzazione dei consumi. E lungo questo percorso, che ha portato a un miglioramento della qualità di vita, sia individuale sia collettiva, la plastica si è affermata nella materialità del quotidiano.

Ma sono il riciclo e il reimpiego le soluzioni praticabili che consentono di valorizzare la poliedricità e gli infiniti utilizzi della plastica, emancipandola dal pericolo dell’inquinamento. Riciclare è la parola-chiave che può fare la differenza. E proprio l’attivazione piena ed efficiente della filiera del riciclo consente di massimizzare il valore sociale della plastica. La riciclabilità delle materie plastiche e il connesso reimpiego di nuove materie prime secondarie utilizzabili è il presupposto che ha portato questo materiale sulla frontiera più avanzata dell’economia circolare.

Non si ricorda mai abbastanza che l’Italia è il secondo Paese con le migliori performance di riciclo degli imballaggi in plastica dopo la Germania. La filiera di raccolta, riciclo e reimpiego degli imballaggi in plastica di Corepla ha generato risultati importanti (sono circa 7.200 i Comuni attivi nel servizio di raccolta differenziata, che ammonta a oltre 1,2 milioni di tonnellate. Sono oltre 643mila le tonnellate di imballaggi in plastica avviati al riciclo e 383mila quelle avviate a recupero energetico. Ammontano a 351 milioni di euro i corrispettivi riconosciuti da Corepla ai Comuni convenzionati o loro delegati. Tutto ciò genera valore economico e sociale al quale vanno ad aggiungersi la riduzione dei rifiuti avviati alle discariche, il risparmio energetico e la riduzione di emissioni di CO2.

E veniamo al punto: la plastic tax. Alimentare l’economia circolare vuol dire trasformare un rifiuto in nuova materia di valore. Perché ciò sia possibile i cittadini consumatori devono collaborare con la raccolta differenziata e le imprese con investimenti in nuove tecnologie e nuovi prodotti. Questa tassa non è utile all’ambiente perché non spinge il consumatore a fare più raccolta, né l’impresa a investire in innovazione (ricordiamoci che gli imballaggi servono a contenere, preservare e informare). Meno imballaggi in plastica (la tipologia più economica e performante al momento) vuol dire meno durabilità del prodotto, meno igiene, maggiori rifiuti umidi e più spreco di cibo (food waste). E andrebbe a colpire le categorie più povere della popolazione.

Gli imballaggi vanno raccolti e riciclati. Siano essi di plastica, di bioplastica o di qualsiasi altro materiale. La plastic tax non è utile all’economia del Paese. Il balzello, infatti, sarebbe un danno incalcolabile per la seconda manifattura d’Europa e metterebbe a rischio migliaia di posti di lavoro senza una reale spinta alla sostenibilità. Il mondo produttivo ha bisogno di tempo per gestire la transizione e le imprese già pagano il contributo ambientale Conai, che permette a noi di Corepla di versare ai Comuni oltre 350 milioni di euro l’anno (dati 2018) per la raccolta differenziata. Per aiutare l’ambiente occorre raccogliere e riciclare, incentivare e non tassare.

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