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Come il terrorismo si diffonde sul web (anche in italiano). Il libro dell’Ispi

In una fase di apparente declino dell’Isis il web resta un mezzo fondamentale per diffondere il verbo jihadista, per pianificare e finanziare attacchi terroristici. È il punto di partenza di un approfondito studio dell’Ispi, l’Istituto di politica internazionale, curato da Francesco Marone: “Digital Jihad. Online Communication and Violent Extremism”, con l’introduzione di Paolo Magri, direttore e vicepresidente esecutivo dell’Ispi. Non solo, ovviamente, è impossibile sapere quanti siano gli affiliati e i simpatizzanti presenti sulla rete, ma il web offre un’enorme quantità di materiale in arabo che di per sé acquisisce maggiore autorevolezza.

Il libro sottolinea le diverse “velocità” tra la comunicazione dei jihadisti e la reazione delle agenzie di controterrorismo, definite strutture burocratizzate che impiegano troppo tempo per organizzarsi in modo da agire in tempo reale. Qualche numero spiega l’entità del fenomeno: da marzo 2018 il materiale di jihadismo sunnita, tra Isis e al Qaeda, distribuito online è stato quantificato in oltre 300mila pagine di testo, di cui 138.700 dello Stato islamico. Se dall’inizio del 2016 militanti e simpatizzanti dell’Isis hanno lasciato Twitter per Telegram rispondendo a una massiccia chiusura di account, nel dicembre 2018 il network su Telegram ammontava a 410 canali jihadisti con una media di 500 post per ogni canale, oltre a ulteriori 3mila canali: quasi 139mila post e oltre 135 milioni di visualizzazioni. Su Telegram l’Isis ha un canale chiamato “The Caliphate Library” contenente 908 documenti in pdf pari a oltre 110mila pagine, l’83 per cento delle quali è costituito da testi teologici di autori salafiti di varie epoche.

La pubblicazione dell’Ispi analizza gli obiettivi della propaganda online dell’Isis che sintetizza in tre punti: la minaccia e il terrore da incutere ai nemici, il messaggio rivolto ai simpatizzanti presentando le proprie azioni come coerenti con l’Islam e infine la lotta per la supremazia tra le organizzazioni jihadiste. L’analisi di molti tweet ha consentito di verificare che una consistente percentuale di musulmani ancora crede che ci sia una guerra contro l’Islam sunnita e che quindi sia necessario difendersi dall’aggressione. Inoltre, nella pubblicazione si suggerisce di analizzare gli argomenti principali usati nei tweet per deradicalizzare i foreign fighter oltre che per costruire una contronarrativa da diffondere sul web.

Nelle 156 pagine c’è anche un capitolo dedicato all’Italia attraverso l’analisi dei messaggi su Telegram, in particolare su un canale chiamato “Ghulibati a Rum”, cioè “La conquista di Roma”, che pubblica materiale tradotto in italiano tratto dalla rivista settimanale ufficiale dell’Isis, Al Naba. Tre canali (GaR 10, GaR 11 e GaR 14) di cui GaR 10 è il principale, ma i vari messaggi successivamente vengono diffusi in numerosi canali internazionali e chat. Secondo gli autori dell’Ispi, in questo modo si cercano simpatizzanti dell’organizzazione jihadista che sappiano parlare italiano e, nello stesso tempo, si manda un messaggio generale sulla dimensione globale dell’Isis. Come esempio, in tre mesi tra febbraio e maggio 2019 Ghulibati a Rum ha diffuso in italiano 61 comunicati dell’agenzia ufficiale Amaq, 33 dichiarazioni ufficiali e un comunicato dettagliato sull’attacco nello Sri Lanka nel giorno di Pasqua.

Un quadro d’insieme che apre una finestra su un mondo conosciuto solo dagli addetti ai lavori e che è ormai il mezzo principale di diffusione del messaggio e dell’incitamento a compiere atti terroristici. Il terrorismo, dicono gli autori, non va analizzato sulla base delle conseguenze bensì sulle motivazioni: in sostanza, non fermarsi alle attuali convinzioni basate sulle esperienze passate, ma cercare nuovi modelli interpretativi di una realtà che si trasforma molto velocemente.



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