Ci aveva scherzato su pochi giorni fa, a Tagadà su La7, masticando una fetta di panettone in diretta tv. Lo ha rifatto (metaforicamente) all’Aperithink di Formiche alla galleria Colonna (qui le foto) Francesco Boccia, ministro delle Autonomie in quota Pd. Il governo rossogiallo, ha garantito l’amico storico di Michele Emiliano in una conversazione con Andrea Picardi, direttore delle comunicazioni di I-com (Istituto per la competitività), supererà il Natale, ma “non deve andare avanti per forza”. Per la colomba si vedrà. Anche perché, ha confidato il ministro, “il Pd non può portare la croce da solo”. Al Nazareno si sono messi sulle spalle “tutti i temi che avevano diviso il governo precedente senza aver avuto un ruolo in queste divisioni”.
Sono passati tre mesi dal battesimo dell’alleanza con i Cinque Stelle e gli effetti collaterali già si fanno sentire. E pensare che proprio Boccia, in quei giorni di estenuanti trattative di fine agosto, fu tra i più convinti cerimonieri del matrimonio politico. Nessun rimorso, chiarisce oggi, “il gruppo dirigente del Pd, a cominciare da Nicola Zingaretti, si è assunto una responsabilità per gli italiani, non perché fosse obbligato ma perché ha voluto fare la cosa giusta, quella che ha chiesto la stragrande maggioranza del Paese, cittadini, imprese, terzo settore e altri mondi della società civile che spesso non hanno voce”.
Superato l’anno, l’invito per gli alleati è di mettersi alla stanga e tirare l’aratro nella stessa direzione. Dopotutto, ammette Boccia, non lo prescrive il medico di andare avanti con questo governo. “Parliamoci chiaro, ci sono tre grandi obiettivi di questa manovra, il resto sono noccioline, cose marginali che forse incidono sulla vita della singola comunità ma solo in parte sulla vita del Paese e comunque possono essere sbrigate perfettamente con un decreto milleproroghe.
“Abbassare l’Iva, aumentare gli interventi sociali, diminuire le tasse sul lavoro”. Questi i tre pilastri dell’azione di governo. Farlo saltare per la querelle sulla prescrizione, dice quindi il dem pugliese, sarebbe un errore. “Abbiamo fatto 99 cancelli, facciamo anche il centesimo e mettiamoci la faccia”. Inutile arroccarsi sulla prescrizione, dice l’ideatore di DigithOn, perché “diventa una questione marginale se introduci una nuova normativa per garantire i tempi certi del processo”. Quanto alla decorrenza dal primo gennaio, scherza Boccia, “ricordo che quella scadenza è made in Salvini, non made in Zingaretti”.
Tra i temi caldi non poteva mancare il futuro dell’ex Ilva di Taranto, motore industriale del Paese e soprattutto della sua Puglia. Boccia non si sottrae al dibattito sullo Stato imprenditore. C’è perfino chi in questi giorni ha rievocato l’Iri. “Ma no, l’Iri non può tornare – dice il dem – noi non siamo per uno Stato padrone, ma per uno Stato regolatore, anche forte, questo sì, l’Italia non può rinunciare all’acciaio”.
Un ritorno tout court dell’Ilva in mani pubbliche oggi è da escludere, ma “ciò non toglie che lo Stato possa intervenire in una fase di transizione, sostenere un piano industriale comprensivo della riconversione ecologica degli impianti e della de-carbonizzazione per abbattere le emissioni”. Non si farà dall’oggi al domani: “Quando ci sarà un calo della produzione lo Stato può garantire la cassa integrazione degli operari in esubero, purché, una volta tornata ai livelli precedenti, siano tutti riassorbiti”. Certo, chiude Boccia con una frecciatina all’ex titolare del Mise e leader di Azione Carlo Calenda, “è stato fatto un errore a monte, l’offerta di Arvedi e Del Vecchio era da preferire a quella di Mittal”.