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Haftar non va legittimato. Erdogan sulla Libia critica anche l’Italia

La Turchia schiaccia l’acceleratore sul dossier Libia e non risparmia una frecciata all’Italia. Oggi il presidente Recep Tayyp Erdogan ha attaccato da Kuala Lumpur (dove si trovava per un summit tra Paesi islamici) coloro che danno legittimazione a Khalifa Haftar, signore della guerra dell’Est che da oltre otto mesi sta cercando di rovesciare il governo libico internazionalmente riconosciuto. “Haftar è un dirigente politico illegittimo, ma alcuni stanno cercando di legittimarlo” e tra questi Erdogan cita “l’Egitto, Abu Dhabi, la Francia, persino l’Italia”.

Non sfugge la tempistica, che forse è il senso stesso di questa dichiarazione. Ieri il Consiglio presidenziale — l’organo che guida il governo di Tripoli sotto egida Onu — ha votato a favore dell’implementazione dell’accordo di sicurezza stretto da Libia e Turchia durante il faccia a faccia del 27 novembre tra Erdogan e Fayez Serraj, presidente del Consiglio libico. Sostanzialmente si tratta di una richiesta di aiuto militare per contenere  la campagna di conquista di Haftar, che adesso sta ricevendo anche il sostegno di contractor russi, oltre che quello di emiratini ed egiziani.

Dal punto dei vista del timing delle dichiarazioni di Erdogan non si può non tener conto della recente visita in Libia con cui il ministro degli Esteri italiano, Luigi di Maio, ha toccato non solo Tripoli, ma anche Bengasi, per incontrare Haftar, e Tobruk, dove ha avuto un meeting con il presidente del Parlamento che ha sempre negato la fiducia politica a Tripoli.

Un tour non troppo gradito ad Ankara, anche perché Di Maio ha espresso (e già lo aveva fatto in precedenza) le criticità per l’Italia di un altro accordo turco-libico riguardante l’unione delle reciproche Zone economiche esclusive. Un piano che creerebbe un prisma marittimo che taglia a metà il quadrante orientale del Mediterraneo — una regione dal valore geopolitico sempre più centrale. Una mossa che intacca interessi strategici anche italiani.

Oggi fonti della Farnesina hanno commentato in modo anonimo, la decisione del governo libico sull’attivazione del protocollo di sicurezza coi turchi. Mossa per altro accompagnata da una lettera che Serraj ha inviato ad alcuni Paesi considerati alleati, a cui ha chiesto supporto contro Haftar. “La soluzione alla crisi libica può essere solo politica, non militare. Per questo motivo continuiamo a respingere qualsiasi tipo di interferenza, promuovendo invece un processo di stabilizzazione che sia inclusivo, intra-libico e che passi per le vie diplomatiche e il dialogo”, dicono dagli Esteri italiani.

Anche l’Onu  ha diffuso una nota ampia criticando qualsiasi genere di assistenza militare ai fronti in guerra — assistenza che per altro violerebbe l’embargo imposto cinque anni fa dalle stesse Nazioni Unite. Nel frattempo l’argomento è diventato anche vettore per la propaganda extra-libica. I media collegati ai due fronti diffondono informazioni, a volte alterate, sulla presenza di militari stranieri e sul ruolo che ricoprono durante i combattimenti. Oggi Sputnik, un sito collegato al Cremlino molto seguito in giro per il mondo, riporta la testimonianza di un comandante haftariano che dice di aver già visto sul terreno forze speciali turche. Nelle scorse settimane erano anche uomini della Tripolitania a raccontare la presenza dei contractor russi ai giornalisti. Tutto mentre sul campo le milizie di Misurata, collegate alla Turchia, avanzano verso Tarhouna, uno dei centri dell’attacco haftariano.

A inizio gennaio i presidenti di Russia e Turchia si incontreranno per parlare (anche e soprattutto) di Libia. Per come sta evolvendo il dossier potrebbe diventare un momento importantissimo per il futuro della crisi visto che i due Paesi stanno acquisendo sempre maggiore centralità. A fine novembre, dopo l’abbattimento di un drone per cui gli americani hanno accusato i russi, una delegazione statunitense era volata a Bengasi per chiedere ad Haftar di fermare le armi, ma il signore della Cirenaica ha intensificato i combattimenti anziché stopparli. Ieri l’inviato di Ankara per la Libia ha detto che in realtà al momento “la Turchia non ha piani immediati per dispiegare truppe da combattimento in Libia nell’ambito del suo patto militare, ma potrebbe inviare personale per aiutare con addestramento e consulenza”.

 

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