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Italia senza leader. Grillo e Salvini? Deludenti. Parla Linsky (Harvard)

Non sempre dire la verità in politica conviene. A dirla tutta, non conviene quasi mai. Ne è convinto Marty Linsky, docente di Politiche pubbliche alla John F. Kennedy School of Government di Harvard, un passato da commentatore politico al Boston Globe e segretario personale del governatore del Massachuttes William Weld. Linsky è un luminare della comunicazione politica. I suoi studi sulla leadership hanno fatto scuola in giro per il mondo, l’ultimo è confluito in un libro in uscita a gennaio in Italia per i tipi di Franco Angeli, “La pratica della leadership adattiva”, scritto con i colleghi Ronald Heifetz e Alexander Grashow. A far la fortuna delle tesi di Linsky un approccio rivoluzionario, quasi provocatorio. La politica, sostiene impassibile il docente americano, è incompatibile con la leadership. Lo abbiamo incontrato a Roma per chiedergli come la sua teoria si cali nella giungla della politica italiana, tutta leader e social network, che lui conosce molto da vicino.

Professore, partiamo dalle basi. Chi è un leader?

Non esistono leader. La leadership è un’attività, non una persona. Un esempio controverso in Italia è Beppe Grillo prima dell’approdo al governo dei Cinque Stelle.

Perché proprio Grillo?

Ha cambiato la cultura politica italiana senza ricoprire alcun incarico. Estremamente interessante. Questa è leadership: un atteggiamento che mette in crisi lo status quo.

Leader si nasce o si diventa?

Alcune persone hanno un vantaggio strutturale. Ma la leadership si può imparare. Serve abilità, e soprattutto la voglia di cambiare il mondo.

Quando parliamo di leadership la mente vola alla politica. Vanno a braccetto?

Ero un politico, e posso assicurarvi che presentarsi a un’elezione non ha nulla a che vedere con la leadership, serve solo a ottenere il potere (ride, ndr). La verità è che non vogliamo che un politico eserciti leadership, vogliamo che faccia quello che gli chiediamo di fare e le due cose quasi mai vanno d’accordo. Leadership significa mettere in discussione le aspettative delle persone, dir loro quel che devono sentirsi dire.

Eppure a lei piace Grillo. Un comico, ma anche il fondatore e garante del Movimento Cinque Stelle.

Mi piaceva, e mi piacevano i Cinque Stelle prima che fossero al governo. Ora non più.

Perché?

Una volta entrato nella stanza dei bottoni è difficile che tu riesca a esercitare leadership. Più potere hai nelle tue mani, più sei portato alla conservazione del sistema. E infatti i Cinque Stelle erano più efficaci fuori dal governo di quanto non lo siano ora al potere.

Senza potere come si cambia il mondo?

Mobilitando le persone. Puoi farlo da politico, ma è molto pericoloso. Per questo chi arriva al potere cerca di evitarlo.

Restiamo sui Cinque Stelle. Cosa non la convince del Movimento oggi?

Man mano che hanno acquisito potere hanno faticato a usare il linguaggio degli esordi per non scomodare l’establishment. Avevano un impatto molto più grande ai tempi dei Vaffa day.

Li conosce bene.

Io e mia moglie veniamo in Italia da 20 anni. I primi tempi nessuno voleva parlare di politica. Poi sono arrivati loro, i Cinque Stelle. Ricordo una cena all’indomani delle elezioni del 2013, eravamo dodici amici. Chiesi quanti di loro li avessero votati. Alzarono la mano in otto, e si guardarono increduli. Fu molto entusiasmante.

Insomma, per lei non c’è speranza che un politico sia anche un leader.

C’è, ma è flebile. Un leader deve pensare al contesto, alla sua comunità e non solo alla carriera. È merce rara fra chi frequenta i palazzi della politica.

Negli ultimi anni i nuovi movimenti “populisti” hanno fatto incetta di voti in Europa. Non avranno leader, ma sicuramente hanno milioni di followers.

Chiariamoci: la leadership non c’entra nulla con la caccia ai followers. Puoi averne a milioni dicendo alle persone quel che vogliono sentire. Trump ha avuto successo così, dicendo ai suoi elettori: “I vostri problemi non sono davvero vostri”. I “cattivi” sono là fuori, in Cina, in Corea del Nord, in Europa, a New York. In Italia nel 2018 è successo lo stesso.

Per lei un leader è chi dice “verità scomode”. Ad esempio?

Una verità scomoda per i milionari che supportano Trump, per dirne una, è riconoscere che dovrebbero pagare più tasse. Per questo lui non glielo dice, e anzi gliele ha ridotte. Sarebbe una mossa rischiosa per la sua constituency. Così come rischioso sarebbe riconoscere il cambiamento climatico, perché in campagna elettorale ha spiegato che “non è un nostro problema”.

Sempre nel libro, parla di “leadership adattiva”. Qui in Italia chi cambia spesso idea non è visto di buon occhio…

È naturale, non vogliamo che i nostri politici imparino, perché imparare significa cambiare idea. Preferiamo che rimangano coerenti, inamovibili nelle loro convinzioni e nei loro pregiudizi. Vogliamo che ci dicano dove andare, quali lavori scegliere, quanti figli fare.

Nell’introduzione si riferisce a una “tradizione autoritaria” presente in Italia. Davvero, se esiste, è un fenomeno solo italiano?

No, è un movimento globale. Trova spazio anche in Israele, in Ungheria, negli Stati Uniti. Il mondo sta cambiando rapidamente, e le persone si sentono in pericolo. Vogliono che qualcuno le aiuti, possibilmente gratis. Non giudico, se fossi giovane oggi forse potrei pensare lo stesso.

Allora non è tutta colpa dei “populisti”.

Ovviamente no, questi timori sono reali. Chi ha contribuito ad ampliarli sono i partiti di centro e moderati, che li hanno ignorati troppo a lungo. La vecchia politica si è limitata a dire: “Questo è il futuro, non avete altra scelta che salire sul treno”. Io stesso non sono cresciuto a suon di rivoluzione digitale, diritti gay, globalizzazione. E se all’epoca qualcuno me li avesse spiegati così non avrei capito fino in fondo.

Linsky, ci stiamo dimenticando del politico più popolare in Italia: Matteo Salvini. Neanche lui è un leader?

Tutt’altro. Segue il copione di Trump. Indica i “tizi cattivi” e addossa a un nemico esterno tutti i problemi. Salvini, ad esempio, sa benissimo che perché l’Italia cresca il Nord deve contribuire allo sviluppo del meridione, ma non lo dice, perché non è conveniente farlo.  Così è facile ottenere consenso.

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