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Così Deutsche Bank ha perso la scommessa con le banche Usa. Parla Messori

Non c’è nessuna, o quasi, sorpresa nello scoprire la voragine apertasi nei conti di Deutsche Bank, prima banca tedesca e nona in Ue per capitalizzazione. L’istituto tedesco ha chiuso il 2019 con perdite da 5,27 miliardi contro i 341 milioni di utile del 2018. Nel quarto trimestre la perdita netta è stata di 1,48 miliardi di dollari, in netto peggioramento rispetto a 409 milioni dello stesso periodo dell’anno precedente.

Certo, la banca di Francoforte, sconta il draconiano piano di ristrutturazione deciso otto mesi fa dall’amministratore delegato Christian Sewing, di cui l’estate scorsa gli azionisti del gruppo, chiedevano la testa, dopo l’annuncio dei tagli, il fallito matrimonio con Commerzbank e il declassamento del rating. Oneri che hanno pesato per 1,1 miliardi, cui vanno aggiunti non meno di 3 miliardi di perdita  legati agli aggiustamenti delle valutazioni sulle dta e sulle imposte anticipate. Ma la sostanza non cambia. La Germania è vulnerabile sulle banche e forse non solo lì. Ma, dice a Formiche.net l’economista della Luiss Marcello Messori, l’ex Sacro Romano Impero supererà anche questa. Mentre in Italia, dove i guai bancari non mancano di certo, ci sarà ancora da penare.

Messori, partiamo dal principio. La prima banca tedesca ha registrato una perdita di oltre 5 miliardi. C’era da aspettarselo?

I problemi della banca erano noti, stiamo parlando di un istituto che ha vissuto basandosi su un modello bancario a dir poco problematico. Volendo cioè giocare a fare la banca di investimento in Europa, riducendo la parte commerciale a vantaggio della prima, ma perdendo la scommessa concorrenziale gli istituti americani che hanno anche loro una forte componente di investimento ma alla quale hanno associato una robusta componente commerciale. E adesso Berlino sta cercando di correre ai ripari.

E secondo lei ci riuscirà? Deutsche Bank, e tutto il sistema industriale legato ad essa, sopravviverà?

Io penso di sì. Tanto per cominciare parliamo di una banca troppo grande e troppo importante per fallire. E poi il potenziale per farcela c’è, anche se ci sarà un percorso complesso e difficile. Ma non dobbiamo dimenticare che un Paese come la Germania ha tante leve cui ricorrere. Il gruppo ha davanti a se un lungo cammino ma alla fine ne uscirà, grazie alla forza dell’economia tedesca.

Però quella stessa economia che per anni pareva invincibile, ora sembra non esserlo più. E Deutsche Bank lo dimostra. Sbaglio?

Sì ma vede, l’economia tedesca ha molti punti deboli, che vanno oltre il caso specifico Deutsche Bank. Sul settore finanziario ci sono molti fronti di sofferenza, basta guardare alle banche locali con proprietà pubblica, quelle banche legate ai Lander per intendersi. Oppure c’è l’esempio di Commerzbank, la seconda banca tedesca, che dopo 11 anni di crisi ancora non ha risolto i suoi problemi.

A proposito di Commerzbank, il governo Merkel, due anni fa, ne sponsorizzò le nozze proprio con Deutsche Bank…

Un’operazione che francamente non ho mai compreso. Erano, e sono, due gruppi in difficoltà e la fusione di due debolezze non fa una forza.

Lasciamo la Germania. Oggi l’Istat ci ha ricordato che l’Italia non cresce. Anche nel 2020 ci sarà da soffrire?

La nostra economia ha purtroppo un potenziale di crescita limitato, dobbiamo partire da questo. Quali sono nel lungo periodo i driver per la crescita? La popolazione demografica e il tasso di occupazione e dunque la produttività. Noi su queste due voci abbiamo dei rapporti piuttosto bassi, con un forte invecchiamento della popolazione da una parte e una crescente componente di persone adulte che deve sostenere l’intera nazione, giovani compresi, dall’altra. Tutto questo porta a una dinamica della produttività che non cresce. E per questo noi ci ritroveremo nei prossimi anni con una bassa capacità di crescita.

Meglio agire sulla produttività o sull’invecchiamento allora?

Sulla prima, perché sulla seconda ci vuole parecchio tempo prima di invertire il ciclo. Se agiamo sulla produttività possiamo avere effetti non dico immediati ma certamente più tempestivi rispetto a un intervento di carattere demografico.

Il governo sta lavorando a una riforma dell’Irpef, per rilanciare quel ceto medio che è la spina dorsale della nostra economia. Una giusta direzione?

Si tratta di una scommessa di breve periodo, per rilanciare la domanda aggregata. Io credo che si debba attenuare la dipendenza europea e dunque italiana dalle esportazioni, in favore di una spinta della domanda interna e forse un intervento di questo tipo può aiutare. Ma detto questo penso che il vero problema, come ho detto, sia la produttività. Il che passa necessariamente per la creazione di un ambiente favorevole allo sviluppo, per l’innovazione e per la creazione di strumenti con cui sostenere chi, per colpa dell’innovazione, perderà qualcosa.

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