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Petrolio, così l’Opec proverà ad arginare il coronavirus. Parla Gloystein (Eurasia Group)

Dieci anni fa i numeri sarebbero stati diversi, e forse non si sarebbe neanche parlato di emergenza. Ma il mercato del petrolio, alla pari di tanti altri settori produttivi, oggi non è più lo stesso di dieci anni fa, e il panico innescato dal Coronavirus lo sta dimostrando. Abbiamo chiesto a Henning Gloystein, direttore del settore Global Energy & Natural Resources di Eurasia Group, cosa bisogna aspettarsi nei prossimi mesi dal mondo dell’oro nero e soprattutto da chi ha in mano le chiavi di casa, l’Opec.

Il petrolio è una delle prime vittime del virus. I dati cosa dicono?

Siamo decisamente di fronte a un forte rallentamento della domanda globale. Nel 2019 le importazioni di petrolio dalla Cina ammontavano a 10 milioni di barili al giorno, per il primo quarto del 2020 potrebbero assestarsi su una cifra di 2-3 milioni di barili. Anche l’import di gas naturale è in caduta libera, per il resto di febbraio rimarrà sotto le 4 milioni di tonnellate di metri cubi, e per marzo non ci sono ancora ordinazioni. È molto inusuale, bisogna risalire a più di un decennio fa per qualcosa di simile.

Vale solo per il petrolio?

L’emergenza sanitaria sta avendo un impatto che va ben oltre il settore energetico. L’automotive è uno dei più colpiti, soprattutto in Giappone, Corea del Sud e Singapore, ma anche il settore tessile, farmaceutico, la telefonia mobile. Non sappiamo quanto durerà. Lo stop ai voli da e per la Cina ovviamente crea un effetto domino.

Con la Sars si era assistito a qualcosa di simile?

È decisamente peggio della Sars, per un semplice motivo. Nel 2003 la Cina era responsabile del 5% del mercato mondiale, ora ne rappresenta una fetta del 17%, e infatti i dati già dicono che l’impatto complessivo sul terzo trimestre è molto più ampio di quello che si verificò allora.

L’Opec ha un piano per uscirne?

È quasi certo che l’Opec opererà dei tagli sostanziali per marzo e aprile. L’organizzazione è preoccupata per il breve periodo, e non a torto. La domanda globale di petrolio potrebbe crollare del 4% nel primo trimestre del 2020.

Di che entità saranno i tagli?

L’Arabia Saudita ha convenuto un piano di tagli della produzione per i prossimi mesi che non faccia però scendere il prezzo del Brent sotto i 50 dollari a barile, perché questo comporterebbe con ogni probabilità un cortocircuito dettato dal panico.

Quindi si sceglierà una via di mezzo?

Al momento ci sono due opzioni sul tavolo. La prima consiste in un intervento deciso per rialzare i prezzi, tagliando la produzione di quasi 1 milione e mezzo di barili al giorno per riportare il prezzo del crudo Brent sopra i 60 dollari a barile. L’altra, ad oggi più probabile, in un taglio più moderato, fra i 500mila e i 700mila barili al giorno.

E i produttori americani?

Sono da sempre l’incubo dell’Opec. Più l’organizzazione taglia la produzione, più loro la aumentano, e lo stesso vale per i canadesi. Anche la produzione di shale gas americano aumenterà nel 2020, stando alle previsioni della Energy Information Administration (Eia), che parla di un aumento della produzione di 1,06 milioni di barili e poi di un rallentamento nel 2021.

Dieci anni fa un’emergenza sanitaria di questo genere avrebbe avuto lo stesso impatto sul mercato?

Il mercato del petrolio è cambiato drasticamente negli ultimi dieci anni. Basti pensare che un decennio fa gli Stati Uniti ne erano i principali acquirenti, ora sono stati sostituiti dalla Cina. La domanda globale ammonta intorno ai 200 milioni di barili al giorno. Non si può dire sia diminuita, nonostante il drammatico calo della produzione in Libia. La crescita della domanda è semmai notevolmente rallentata. Nel 2019 la crescita globale è stata del 3,3%, quella della domanda di petrolio dell’1,3%, dieci anni fa i due valori erano allineati.

Resta il nodo della Russia. Mosca si adeguerà ai tagli?

Lo scorso dicembre la Russia ha siglato un accordo con l’Opec per una riduzione di circa 500mila barili al giorno nel primo trimestre del 2020 con lo scopo di alzare i prezzi. La verità è che la Russia non ha ancora tagliato granché, i tagli principali arriveranno da Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Kuwait. Quella di Putin è una mossa politica, resta da vedere se le darà seguito. Tante volte in passato i patti sui tagli alla produzione non sono stati rispettati.



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