Gira voce che nel Movimento 5 Stelle, per la guida politica del movimento, si stia profilando un tandem fra Alessandro Di Battista e Chiara Appendino; se fossimo negli Usa si parlerebbe di ticket dream, la formula del sogno.
In effetti, si tratta delle due carte migliori a disposizione del M5S. Dibba, per quanto non sia allo zenith della sua popolarità (troppe capriole, abbandoni, rientri, eccetera), è pur sempre il personaggio di maggiore popolarità, l’uomo capace di galvanizzare una piazza con un comizio; anche Appenino non è al suo momento migliore perché, dopo un brillantissimo avvio della sua sindacatura, ha avuto diversi inciampi anche per la riottosità di una parte del suo gruppo consiliare, ma è pur sempre la migliore fra gli amministratori del M5S, mantiene un buon livello di popolarità nella sua città, ha ottime capacità di mediazione, concretezza e sa ascoltare la gente. Inoltre, una donna al vertice correggerebbe un po’ l’immagine maschilista del M5S. Peraltro, Dibba va benissimo per rassicurare la parte di destra del residuo elettorato pentastellato e la Appendino va benissimo per quella di sinistra.
Dunque, giochi fatti e pronta ripresa del M5S? Mi duole dirlo, anche per la simpatia che entrambi mi suscitano, ma temo che non funzionerà e la parabola discendente proseguirà invariata coinvolgendo anche loro due (purtroppo).
Il punto è che è troppo tardi: il M5S è colpito da una gravissima crisi di credibilità e riconquistare risalire la china è opera improba che riesce in pochissimi casi. Ma quello che condanna il Movimento sono altre cose. In primo luogo Di Maio ha fatto tutti i danni che poteva fare, ma il Movimento lo ha confermato ancora dopo la disfatta delle europee, mostrando di non rendersi conto della gravità della sconfitta e delle sue ragioni. Quando un soggetto politico perde di botto sei elettori su dieci, fallisce la prova di governo nazionale e nella Capitale, registra abbandoni continui di parlamentari e di militanti qualche domanda deve farsela. Invece il M5S non ha avuto l’umiltà necessaria di capire il perché della sconfitta e ha reagito con la più insopportabile boria di partito, il che è il modo migliore per perdere rapidamente altri consensi (e, infatti, le amministrative, dall’Umbria all’Emilia alla Calabria, sono state una sfilza di catastrofi).
Il M5S non ha capito l’impressionante serie di errori politici, culturali e soprattutto organizzativi che ha commesso. Quando tre parlamentari sono passati alla Lega, Di Maio se ne è uscito con la battuta sul “mercato delle vacche, dimenticando che le vacche in Parlamento ce le aveva portate lui che aveva imposto la candidatura dei tre nel borsino dei seggi riservati al Capo politico. Forse il M5S dovrebbe adottare un metodo più serio per selezionare i suoi gruppi parlamentari abbandonando sia la “designazione sovrana” del Capo politico che la pretesa selezione on line, inadeguata e poco trasparente. Le soluzioni organizzative adottate non evitano affatto che il M5S diventi un partito (d’altra parte, se ti presenti alle elezioni e, per di più, ottieni larghissimi consensi, cosa sei se non un partito?) ma, anzi, ha prodotto un partito meno democratico degli altri.
Ma, se non sai riconoscere i tuoi errori, non puoi nemmeno correggerli. E questo è il quadro strategico che condanna il movimento alla fine, ma ci sono anche questioni più contingenti che peggiorano le cose, se ce ne fosse bisogno. In primo luogo ormai è evidente che il M5S è, se va bene, al terzo posto, se va male al quarto, quindi non è nel testa a testa dei due competitori maggiori e, per di più insiste nella sciocchezza del né di destra né di sinistra (che ormai è formula logora e screditata) e teorizza di voler tornare a non allearsi con nessuno, quindi a restare definitivamente fuori dal gioco. E la cosa non è un problema dei prossimi anni ma delle prossime settimane, per la presentazione delle candidature alle regionali di Val d’Aosta, Liguria, Veneto, Toscana, Marche, Campania e Puglia dove il M5S non ha nessuna possibilità di successo ed il sistema elettorale spinge (come è stato nelle tre regioni in cui si è già votato) a polarizzare l’elettorato sui due candidati con possibilità di riuscita. Morale: sarà una serie di risultati dal 3 al 6% massimo, il che confermerà l’elettorato nel declino del movimento.
Allora che fare? Quando la nave è già inclinata per i tre quarti sul fianco e sta imbarcando acqua, l’unica cosa che si può fare è calare le scialuppe in mare e sperare di prendere il largo prima che la nave affondi risucchiando tutti. Fuor di metafora: è il momento di pensare al dopo cinque stelle. I dirigenti possono pensare di salvare qualcosa mettendo in pista soggetti diversi: una lista Conte, una lista Verde, o altro ancora, comunque qualcosa che si chiami in modo diverso, che non ripeta gli stessi errori politici ed organizzativi e presenti candidati più potabili della maggioranza degli attuali parlamentari. Sperando che almeno una di queste scialuppe si salvi e giunga in porto.
Ma non lo capiranno e finiranno per affondare nel peggiore dei modi.