A prima vista, sembra che uno scontro in Siria fra la Turchia di Recep Tayyip Erdogan e la Russia di Vladimir Putin sia imminente. Ma la politica estera non si legge mai “a prima vista”. Lo sa bene Fyodor Lukyanov, che in Russia è considerato un guru delle Relazioni internazionali, e ha da sempre l’ascolto del palazzo. Direttore della rivista Russia in Global Affairs, è a capo del presidio del prestigioso Consiglio per la politica estera e di difesa russo. “La Russia, oggi, potrebbe essere l’unico amico rimasto ad Erdogan in Medio Oriente” spiega in un’intervista a Formiche.net. E l’Europa? “L’Europa non è neanche in partita”.
Lukyanov, quanto è vicino lo scontro fra Ankara e Mosca?
Non credo che ci sarà uno scontro diretto. Le dichiarazioni degli ufficiali turchi che si sono susseguite in queste ore parlano di un attacco del regime siriano, ma si guardano bene dal nominare il governo e l’aviazione russa.
Perché?
Semplice. Perché se lo facessero, sarebbero costretti a prendere contromisure, ma non possono farlo. Erdogan sa che una guerra con la Russia sarebbe un disastro. Anche Mosca comunque ha optato per la cautela. Il ministro della Difesa ha negato qualsiasi responsabilità dell’aviazione e il ministro degli Esteri Lavrov ha insistito sulla cooperazione con Ankara e il rispetto degli accordi di Idlib del 2018. Ha condannato l’assenza di coordinamento nell’incidente e perfino fatto le condoglianze al governo turco, cosa piuttosto inusuale.
Quindi la Russia nega un suo coinvolgimento. La verità?
Ovviamente la Russia è dietro questo raid, o quantomeno ne è stata messa a conoscenza. Putin ha voluto inviare un messaggio ad Erdogan: fermati ora, prima che sia tardi.
Erdogan ora chiede aiuto alla Nato. Lo avrà?
La Nato non può intervenire, perché l’incidente è avvenuto in una porzione di territorio internazionalmente riconosciuta alla Siria. Non c’è stata un’aggressione contro la Turchia. Se Erdogan continuasse a invocare un intervento della Nato, riconoscerebbe di fatto di aver invaso illegalmente uno Stato sovrano. Non si spingerà a tanto.
Anche perché i rapporti con l’Alleanza non sono idilliaci.
A ben vedere ha distrutto le relazioni con quasi tutti i suoi alleati. Negli ultimi anni ha dimostrato di non voler ascoltare la Nato, rivendicando di continuo l’autonomia della Turchia dentro l’alleanza. Nel 2015 ha abbattuto un aereo russo, e la Nato è stata costretta a prendere le distanze. Il recente acquisto del sistema missilistico russo S-400 è solo la punta dell’iceberg.
La Turchia rischia l’isolamento?
L’isolamento è già realtà, e si allarga di giorno in giorno. Anche i Paesi del Golfo, che non hanno mai visto di buon occhio il regime di Assad, sono sempre più irritati dall’intervento di Stati non arabi in Stati arabi, come la spedizione della Turchia in Libia, dove si trova nella trincea opposta rispetto a quella dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti. Questo porta a un paradosso.
Ovvero?
Oggi, nonostante tutto, il miglior amico della Turchia in Medio Oriente è la Russia. È l’unico Paese disposto a sedersi intorno a un tavolo, come accade in queste ore, e ha tutto l’interesse ad avere una Turchia neutrale per gestire senza complicazioni la ricostruzione dello Stato siriano. Gli Stati del Golfo sono molto meno tolleranti.
L’Iran dirà la sua?
L’Iran è lì con le sue forze proxy, e ha ancora un peso enorme nella regione. Per il momento però preferisce mantenere un basso profilo. L’uccisione di Soleimani, le elezioni, ora la crisi del coronavirus impongono un passo indietro. E suggeriscono di evitare un’escalation con la Turchia.
Putin continuerà a difendere Assad o è disposto a fare un passo indietro dalla Siria?
L’opzione non è sul tavolo. Senza il supporto della Russia il regime non sopravvivrebbe. Il piano è già segnato: Mosca vuole ricostruire la Siria, ripristinare la sua economia e i confini territoriali riconosciuti prima del 2011. Ovviamente dovrà addivenire a qualche compromesso, nelle zone di confine come Afrin e Idlib sarà costretta a fare piccole concessioni ai turchi, lasciando loro un fazzoletto di terreno.
Ci sono anche ragioni di profitto. O no?
Certo, la ricostruzione siriana costituisce un’enorme opportunità per gli investitori russi. Ma c’è di più: Mosca è presente in Siria con la base aerea di Khmeimim e con la base navale di Tartus. Non vuole solo tenere in vita il regime, vuole una sua roccaforte nel Mediterraneo.
A Mosca cosa dicono della guerra la piazza e il palazzo?
La politica estera di per sé smuove poco l’opinione pubblica russa, la campagna in Siria ancora di meno. La guerra in Ucraina è stata diversa. Era una guerra al confine, che ha catturato i cuori e le menti dei russi. Se c’è una cosa che ha attirato l’attenzione del pubblico quando Mosca ha inviato l’esercito a Damasco è stata la sequenza di successi sul campo. Una sorpresa per tutti, dopo anni di pessima gestione delle forze armate russe.
I costi di un conflitto del genere sono ancora sostenibili?
A dispetto delle apparenze, non è una guerra così costosa. Quando anni fa un giornalista chiese a Putin quanto sarebbe costato il conflitto, rispose con cinico realismo: disse che non sarebbe stato oneroso, perché avrebbe permesso al governo di provare armi, munizioni, esercitazioni militari a basso costo. Negli anni, peraltro, la guerra ha fruttato non poco alle casse di Mosca.
Perché?
Se la Russia non fosse intervenuta in Siria, oggi l’Arabia Saudita non sarebbe disposta a coinvolgerla nelle trattative sui prezzi del petrolio. Senza la carta siriana Putin non avrebbe mai firmato l’accordo Opec plus questo inverno. Prima del conflitto la Russia veniva puntualmente esclusa dal tavolo.
Lukyanov, all’Europa resta un ruolo nell’escalation?
Nessun ruolo. Si è ritirata sua sponte dal Medio Oriente, non era pronta per un impegno serio nella regione, e il motivo è semplice. Oggi in quella regione anche un mediatore, un ambasciatore, un broker deve saper tenere un’arma in mano. Non c’è spazio per la diplomazia astratta, per il rischio zero.
Anche gli Stati Uniti stanno abbandonando la regione?
C’è una differenza di fondo. Gli Stati Uniti hanno avviato un disimpegno in Medio Oriente, ma in caso di emergenza sono pronti a intervenire. Grandi potenze a parte, chi ha in mano le chiavi del risiko mediorientale sono le potenze regionali, Iran, Qatar, Emirati Arabi, Arabia Saudita, Israele. L’Europa non è parte in causa, e infatti è finita ancora una volta sotto ricatto di Erdogan, che ha aperto i rubinetti dell’immigrazione violando gli accordi presi.
Chiudiamo sulla Libia. È lì che Russia e Turchia possono arrivare ai ferri corti?
Ne dubito. Per la Russia la posta in gioco in Libia non è paragonabile a quella siriana. È vero, Mosca sta giocando un ruolo, ma non ha forze ufficiali sul campo, solo compagnie private. Non ha neanche bisogno di combattere, perché Haftar ce la fa da solo con il supporto di egiziani, emiratini, sauditi. E francesi.