Ci sono anche risvolti, per così dire, di carattere istituzionale nell’emergenza coronavirus che da oltre una settimana tiene con il fiato sospeso l’Italia. D’altronde, la crisi di questi ultimi dieci giorni ha mostrato plasticamente un aspetto noto a molti ma volutamente tralasciato nell’ordinarietà del dibattito pubblico e politico: l’assenza di strumenti giuridici e di sistema in grado di permettere al Paese di rispondere in maniera coesa, efficace e rapida all’insorgere di circostanze urgenti e straordinarie che chiamano in causa l’interesse nazionale.
Soprattutto nei primi giorni dell’epidemia partita dal lodigiano, le istituzioni di ogni ordine e grado – con poche eccezioni tra le quali spicca il Quirinale che ha cercato sin da subito di spargere buonsenso e saggezza – sono sembrate procedere in modo confuso e disordinato, pur ovviamente nel lodevole sforzo di tentare di tamponare la situazione. Con il limite evidente però che ognuno ha cercato di farlo a modo suo, tra eccessi di comunicazione, scontri istituzionali che hanno coinvolto Palazzo Chigi da un lato e i governatori delle regioni dal’altro e chi più ne ha più ne metta. In poche parole, la catena di comando è apparsa incerta e inadeguata a gestire un’emergenza che avrebbe richiesto unità di intenti, coerenza degli interventi e decisione. “Protezione civile debole, governo fragile e regioni in campagna elettorale: il virus disvela uno scollamento istituzionale nel Paese delle mille prerogative e della ricerca del palcoscenico”, ha commentato ad esempio in questo articolo il vicedirettore dell’Huffington Post Alessandro De Angelis.
Un quadro che, analizzato a bocce ferme e auspicabilmente a emergenza epidemiologica conclusa, dovrebbe indurre le forze politiche e il Parlamento a ipotizzare e poi attuare soluzioni che ci permettano di essere immediatamente pronti la prossima volta che saremo nostro malgrado costretti a confrontarci con un’altra crisi, sia essa sanitaria, tecnologica o di altro tipo. In questo senso un modello da seguire potrebbe essere rappresentato dal National Security Council attivo negli Stati Uniti fin dai tempi di Harry Truman con il compito di assistere il presidente quando vi siano vicende che interessino la sicurezza nazionale. Come appunto sta facendo in queste settimane sul coronavirus l’attuale consigliere di Donald Trump, Robert O’Brien.
La proposta arriva da Giovanni Castellaneta, già ambasciatore italiano in Iran, Australia e Stati Uniti e con un passato da consigliere diplomatico di Palazzo Chigi, che ne ha anche scritto nel suo recente libro “In prima fila. Quale posto per l’Italia nel mondo?” (edito da Guerini Associati). Un’idea valida in generale, ma pure nello specifico del coronavirus, ha sottolineato Castellaneta parlando con Formiche.net: “Un organo che sia permanente – per evitare che ci si muova sempre e solo su impulso dell’immediato – chiamato a intervenire in caso di crisi internazionali ma anche di crisi sanitarie, come quella che stiamo vivendo, o di eventuali attacchi cyber che certo non possono essere esclusi per il futuro”. Una struttura, dunque, dotata stabilmente di competenze, personale e risorse: “Perché non è l’emergenza che crea il consiglio ma, al contrario, è il consiglio che monitora le emergenze e nel caso si fa trovare pronto a intervenire”. Per evitare quindi di dover rincorrere ogni volta le decisioni, con tutto le ripercussioni ne derivano poi per la vita del Paese: “Un organo con poteri delegati dal presidente del Consiglio che possa agire in condizioni urgenti e straordinarie e senza dover passare ogni volta attraverso misure tampone. Alla fine, all’italiana, riusciamo anche ad essere efficaci ma in troppi casi la disorganizzazione prevale. Per questa ragione bisognerebbe essere provvisti già a monte di tutti gli strumenti necessari”.
Castellaneta, d’altro canto, sa perfettamente cosa vuol dire trovarsi a gestire un’emergenza senza che vi sia un organo di questo tipo: “L’11 settembre del 2001 ero a Palazzo Chigi quando ci fu l’attentato al World Trade Center: riuscimmo a rispondere all’emergenza ma sulla base di un’organizzazione un po’ artigianale, creata in quel frangente così tragico. Condoleeza Rice – all’epoca consigliere per la sicurezza nazionale di George W. Bush – dalla situation room della Casa Bianca telefonava a Palazzo Chigi e chiedeva del National Security Advisor italiano. Le passavano il mio telefono – svolgevo un ruolo di coordinamento dell’emergenza – ma ero il consigliere diplomatico. Non c’era nessun’altro e tutt’ora non c’è nessun altro”. Ma perché, se ormai quasi vent’anni fa si è palesata questa esigenza, non è stato ancora fatto nulla al riguardo? “Il problema è tutto politico: ci sono le gelosie dei ministeri interessati, nessuno vuole rafforzare in pianta stabile il presidente del Consiglio. E dire che non servirebbe neppure una riforma costituzionale, sarebbe sufficiente una legge ordinaria. In Italia esiste un gioco di pesi e contrappesi nella gestione del potere che alla fine indebolisce tutto il sistema”. Dalle difficoltà si può e si dovrebbe imparare.